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01 febbraio 2008

Perché si scioglie la calotta polare?

Segnalo un articolo sul sito di Repubblica in cui si parla di una interessante ricerca italiana, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Il recente aumento dello scioglimento dei ghiacci nella regione artica dimostrerebbe di dipendere principalmente dalle variazioni dell'orbita della Terra intorno al Sole, e dunque dalle diverse condizioni di insolazione.
Qualcuno ha detto CO2?


Durante la scorsa estate lo scioglimento della calotta glaciale del Polo Nord ha raggiunto livelli storici. Le cause sono state individuate nell'aumento della temperatura globale terrestre. Tuttavia il reale meccanismo che lega i due fenomeni non risulta ancora perfettamente chiaro. Ora però, una ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Paleoceanography, realizzata da scienziati italiani, avrebbe scoperto il meccanismo che sta alla base del rapido scioglimento della calotta polare.

Essa ha come base la teoria di Milankovitch, il quale all'inizio del secolo scorso, trovò una correlazione tra le variazioni dell'orbita della Terra attorno al Sole e l'alternarsi delle glaciazioni con periodi più caldi. Il matematico serbo scoprì cioè che le glaciazioni e la loro scomparsa si verificano in seguito al fatto che l'orbita della Terra non è sempre identica a se stessa e ciò determina nel corso del tempo delle piccole variazioni dell'energia che arriva dal Sole.

La teoria tuttavia, non dava modo di capire fino in fondo come avveniva lo scioglimento delle calotte polari alla fine del periodo glaciale, l'ultimo dei quali è terminato 14.000 anni fa. La teoria cioè, non spiega quando si innesca lo scioglimento totale dei ghiacci.

Fabrizio Marra, Fabio Florindo e Enzo Boschi dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia avrebbero trovato la soluzione al problema. Spiega Marra: "Il nostro studio sottolinea ancora una volta che quanto scoprì Milankovitch era corretto e cioè che la quantità di insolazione che colpisce l'emisfero nord nei mesi estivi regola il meccanismo delle glaciazioni, ma in più abbiamo scoperto l'esistenza di una 'soglia' di insolazione estremamente piccola che discrimina tra il permanere della glaciazione e uno scioglimento drammatico delle calotte polari, che regrediscono rapidamente fino allo stabilirsi di condizioni simili a quelle dell'attuale periodo temperato". In altre parole, la scoperta mette in luce il fatto che esisterebbe un limite della temperatura che una volta superato rende drammatico lo scioglimento dei ghiacci polari.

Il modello messo a punto dai ricercatori evidenzia che non è tanto il verificarsi di particolari massimi di insolazione, cioè periodi molto caldi dell'anno, bensì il verificarsi di minimi 'moderati', cioè inverni meno freddi della media, a innescare il veloce scioglimento delle calotte polari. In altre parole agisce di più sullo scioglimento dei ghiacci un inverno mite che un'estate molto calda. La ricerca d'Ingv ha elaborato un modello che ha permesso di ricostruire con estrema precisione la fine delle glaciazioni avvenute tra 800.000 e 350.000 anni fa.

La studio mette in luce quanto il sistema atmosfera-oceani sia sensibile anche alle più piccole variazioni di temperatura per cause naturali. E a tal proposito Boschi, presidente dell'INGV e coautore della ricerca sottolinea: "Questa scoperta evidenzia il ruolo determinante dell'insolazione sulla regolazione dei cambiamenti climatici a scala globale e questo fa riflettere sull'effettivo ruolo dell'anidride carbonica come fattore predominante sull'andamento della temperatura. Ma la scoperta che questo meccanismo naturale potrebbe avere un ruolo prevalente nell'attuale cambiamento climatico non attenua le preoccupazioni sulla possibilità che nei prossimi decenni ci si avvii verso un pianeta sempre più surriscaldato".

12 ottobre 2007

Nobel per il terrorismo

Questo davvero mi ha sorpreso. Dopo averlo assegnato a quel campione di Arafat nel 1994, il Nobel per la pace 2007 è andato, udite udite, ad Al Gore e all'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change)!

Chi ha letto altri post da me scritti su questo blog può ben capire il perché della mia sorpresa, mentre agli altri non posso che consigliare di leggere i post con l'etichetta Ambiente o Scienza a riguardo. Per fortuna, sullo stesso sito del Corriere è presente anche un articolo che riporta una sentenza di un giudice inglese dell'Alta Corte che ha sottolineato le forzature e l'orientamento fortemente politico del filmato, a proposito di un rischio di "lavaggio del cervello" a danno dei giovani studenti a cui il film, inviato a 3500 scuole in Gran Bretagna, è stato fatto vedere senza un commento critico e obiettivo che lo bilanciasse.

Tra l'altro, mi sembra alquanto ironico che si sia dato il Nobel per la pace a un individuo che terrorizza la gente, che forse dopo aver visto il suo film (e credendoci) non dorme poi così tranquilla, ma tant'è... :)

15 giugno 2007

Le bugie degli ambientalisti 2

Da qualche mese è uscito il secondo libro di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari su quelle che chiamano le bugie degli ambientalisti. Del primo ho diffusamente parlato in molti post precedenti (ora non mi va di linkarli tutti, li trovate sotto l'etichetta "ambiente"), sottolineandone gli aspetti positivi, come la grande quantità di dati scientifici che forniscono a sostegno delle loro tesi, e quelli negativi, come un eccessivo "invasamento" in posizioni che un mio amico definirebbe da "nazicattolici".
Ad ogni modo, il primo libro è una lettura che consiglio comunque di fare, perché molto istruttiva. Non ho ancora comprato il secondo, ma dall'indice si può avere un'idea della linea seguita. In particolare, nella prima parte gli autori pongono l'accento su quanto la natura stessa inquini. La cosa non mi sembra banale, perché a volte, presi da una smania di onnipotenza, pensiamo (o ci vogliono far pensare) che la specie umana sia quella capace di pesare più di ogni altra sull'ambiente. Leggere quindi dati sulle emissioni della natura stessa può magari farci capire quali sono gli effettivi ordini di grandezza in gioco quando si parla dell'ecosistema, considerato nella sua interezza.

11 maggio 2007

Un po' di dati sulla CO2

Come promesso, continuo i post riguardanti il film-documentario di Al Gore e in generale le tematiche ambientaliste sull'effetto serra riportando ciò che ho trovato su questo sito, che consiglio di visitare:

23 febbraio 2007 – La serie storica delle concentrazioni di biossido di carbonio (CO2) ostentata dal Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico come giustificazione per la riduzione dei cosiddetti “gas serra”, è una frode. Una ricerca da parte del professor Ernst-Georg Beck, tedesco di Friburgo, mostra che il comitato ha raccolto selettivamente i dati sul CO2 prima del 1957, attraverso misurazioni effettuate su carote di ghiaccio prelevate di recente, ignorando le oltre 90.000 misurazioni dirette e accurate effettuate con metodi chimici dal 1857 al 1957.

In una precisa rassegna di 175 articoli scientifici, Beck ha scoperto che i fondatori della moderna teoria dell'effetto serra, Guy Stewart Callendar e Charles David Feeling (questo in particolar modo un idolo per Al Gore) avevano completamente ignorato misurazioni attente e sistematiche effettuate da alcuni dei più famosi nomi della chimica fisica, tra cui diversi premi Nobel.

Le misurazioni di questi chimici mostravano che l'odierna concentrazione atmosferica di CO2 di circa 375 parti per milione (ppm) è stata superata nel passato, compreso un periodo tra il 1936 e il 1944, quando i livelli di CO2 variarono da 393 a 454,7 ppm. Ci furono anche misurazioni, con margine di errore del 3%, di 375 ppm nel 1885 (Hempel a Dresda), 390 nel 1866 (Gorup a Erlangen) e 416 nel 1857 e 1858 (Von Gilm a Innsbruck). Ironicamente, mentre l'aumento degli anni '40 si correlava con un periodo di medio riscaldamento atmosferico, Beck e altri hanno mostrato che il riscaldamento precedette l'aumento nelle concentrazioni di CO2.

I dati trovati da Beck provenivano principalmente dall'emisfero settentrionale, geograficamente distribuiti dall'Alaska su tutta l'Europa fino a Poona, in India, quasi tutti presi in zone rurali o nella periferia di città senza contaminazione da industria, ad un'altezza da terra di circa due metri. La valutazione dei metodi chimici seguiti rivela un errore massimo del 3%, fino ad un 1% nei casi migliori.

Per contrasto, le misurazioni ricavate dalle carote di ghiaccio mostrano un aumento piuttosto costante dei livelli di CO2, convenientemente concordante all'idea preconcetta che l'aumento dell'attività industriale abbia prodotto un netto aumento di CO2. Così come ha mostrato un collaboratore di Beck, il dottor Zbigniew Javorowsky, ex direttore del servizio di monitoraggio delle radiazioni polacco, il gas intrappolato nelle carote di ghiaccio non ha validità come valore approssimato della concentrazione atmosferica. Il continuo processo di congelamento, scongelamento e pressurizzazione della colonna di ghiaccio altera drasticamente le concentrazioni atmosferiche originali delle bolle di gas.

Secondo la teoria dell'effetto serra, l'aumento del CO2 nell'atmosfera causato dall'attività umana, come la combustione di carburanti fossili, agisce come il vetro di una serra che impedisce la restituzione dei raggi solari ricevuti dalla superficie terrestre. Mentre da una parte tale effetto esiste, il biossido di carbonio si trova in basso nella lista dei “gas serra”, pesando nella misura del 2-3% sull'effetto serra. Il gas serra di gran lunga più importante è il vapore acqueo. Tuttavia, l'acqua in forma di nuvole può riflettere i raggi solari causando riduzione di temperatura. Ci sono talmente tanti effetti interrelati, dalle macchie solari ai cicli delle orbite terrestri, che collegare la temperatura globale alla concentrazione di CO2 è come cercare di predire il valore di un hedge fund dalle fasi lunari.

Per rendere credibile tale correlazione occorre una capacità ampia e sofisticata di mentire e i teorizzatori dell'effetto serra ne sono dotati, ma sfortunatamente per loro gli scienziati hanno cominciato a raccogliere i dati sulla concentrazione di CO2 già dagli inizi del '700, in concomitanza con i primi studi sul processo di fotosintesi, e oggi siamo in possesso di più di 90.000 accurate misurazioni e solo gli sciocchi possono dar credito alle “emissioni di gas” di Al Gore.


Un secondo post sullo stesso sito commenta e riporta alcune delle tesi del già citato dottor Zbigniew Javorowsky, che potete trovare qui:

Il secondo articolo è un ampio e documentato studio scientifico del prof. Zbignew Jaworowski, presidente del Consiglio scientifico del laboratorio centrale della protezione radiologica di Varsavia. Alcune delle conclusioni:
  • La relazione tra i cicli solari e le oscillazioni del clima sulla terra è palese e diretta.
  • Un effettivo rapporto tra le emissioni di C02 e lo scioglimento dei ghiacci non è mai stato scientificamente stabilito.
  • In base ai suoi stessi assiomi (fasulli), il Protocollo di Kyoto rimanderebbe il presunto disastro di soli 4 anni, ma porterebbe dritto al mondo post-industriale voluto da una certa oligarchia, provocando una prevedibile perdita di 1800 miliardi di dollari del PIL mondiale entro il 2100.
  • La teoria dell’effetto serra e il conseguente Protocollo di Kyoto si basano sugli studi del prof. Mann et al. Il prof. Jaworowski dimostra dettagliatamente che gli scienziati che lo hanno redatto e gli scienziati che lo hanno avallato hanno agito in malafede, spingendosi fino all’impostura vera e propria.
  • Jaworowski nota ironicamente, in apertura del suo studio, come alcuni di quegli stessi scienziati che adesso sentono troppo caldo, per colpa dell’industrializzazione, prima di ricompattarsi dietro questa teoria, fino a metà anni Settanta, predicavano il contrario: l’industrializzazione porta il freddo.
I due grafici che seguono sono tratti dallo studio e mettono in rilievo:
1) La corrispondenza tra i cicli solari e l’andamento della temperatura media terrestre.

2) La famosa curva di Mann che pretende di descrivere una impennata anomala della temperatura dopo la metà del XX secolo, in realtà adotta dati truccati per “nascondere” temperature ben più alte che si verificarono in epoca rinascimentale, un’ondata di caldo che fece seguito alla forte caduta della temperatura media che caratterizzò la tarda epoca medievale. La curva superiore, più marcata, è quella corretta, quella inferiore è la curva di Mann et al.


Faccio notare che le tesi esposte in questo documento sono le stesse sostenute nel filmato di cui ho parlato in un post precedente e che è possibile vedere direttamente su questo blog.

04 maggio 2007

L'anti-Inconvenient truth

Per contrastare gli allarmismi che ci bombardano continuamente, e anche perché ho trovato tantissimo materiale sull'argomento, nei prossimi giorni metterò sul blog molti link a documenti e argomentazioni di vario genere contro la teoria del riscaldamento globale.
Inizio col pubblicizzare un video, mandato in onda da Channel 4 in Gran Bretagna almeno un mese fa. Si intitola "The global warming swindle" (La truffa del riscaldamento globale), e si propone come alternativa al film di Al Gore, del quale confuta le tesi. Dubito che sarà altrettanto pubblicizzato e che vincerà un Oscar, se non altro perché dietro non c'è la stessa quantità di soldi (compagnie petrolifere, dove siete? ;) ) a sostenerlo.
Ma tant'è, qui ci si accontenta dei prodotti di nicchia!

Il filmato è in inglese, ma ha i sottotitoli in francese, quindi può darsi che sia più facile da seguire per chi ha problemi di lingua. Linko anche un video breve che riassume alcune delle tesi del filmato.

22 aprile 2007

Giornata della Terra

Oggi si celebra l’Earth Day, la Giornata della Terra. Giunta alla sua 38esima edizione (la prima fu nel 1970), essa si propone come forte mezzo propagandistico a sostegno delle varie tesi ambientaliste sullo stato del pianeta, e in fin dei conti come ulteriore occasione per fare disinformazione.
Colgo quindi l’occasione per proseguire la serie di post ispirati dal libro Le Bugie degli Ambientalisti, iniziata circa un anno fa, parlando in generale del tema del riscaldamento globale e del ruolo dell’anidride carbonica. (Le altre puntate della serie sono qui, qui, qui e qui).

Già qualche settimana fa ho riportato in due post una pagina del sito Ecofantascienza, presente tra i link a fianco, in cui si esaminava il legame tra CO2 e temperatura del pianeta, giungendo a conclusioni ben diverse da quelle comunemente riportate. Non so chi tenga quel sito, ma i dati esposti sono facilmente reperibili in rete (ammesso che non si vada su siti ambientalisti) e mi risultavano anche da altre fonti; e di conseguenza lo ritengo affidabile anche nelle conclusioni.
Al contrario di ciò che si sente spesso dire (penso per esempio a un servizio delle Iene di 2-3 settimane fa, intervistando Mario Tozzi), le tematiche ambientali sono, in ambiente scientifico, oggetto di un acceso dibattito, come ho cercato di dimostrare nel precedente post, a proposito degli uragani.
Da un’intervista qui riportata a Riccardo Cascioli, uno dei due autori del libro prima citato, risulta che anche all’interno dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo dell’ONU preposto a studiare i cambiamenti climatici, vi siano molte voci critiche sull’ultimo rapporto stilato: molti scienziati ne sono usciti per vari disaccordi, e lo stesso Autore Principale, il dottor Trenberth, ha in parte ritrattato le conclusioni riportate nel sunto preliminare, presentato recentemente alla conferenza di Parigi.
Tempo fa il buon Wellington parlò di quei 60 scienziati canadesi che si opponevano alle tesi sul riscaldamento globale, e l’Oregon Institute of Science and Medicine ha promosso a riguardo un manifesto sottoscritto da circa 19000 scienziati americani (17000 secondo la pagina che ho linkato da Ecofantascienza, ma la sostanza non cambia). Vorrei quindi che fosse chiaro che il dibattito è tutt’altro che chiuso.

Detto questo, ci si può chiedere: quali effetti ha un aumento della CO2 nell’atmosfera, se come detto non è la principale causa dell’effetto serra?
Può innanzitutto essere utile sapere che la comparsa dei vegetali sul pianeta e il loro sviluppo sono coincisi con un periodo in cui la concentrazione di CO2 era pari a 6000 ppm (parti per milione), ovvero circa venti volte i valori attuali. Al contrario, ci sono piante che, con concentrazioni inferiori a 100 ppm, muoiono: è come se a un uomo si togliesse l’ossigeno.
Esistono inoltre vari studi sull’effetto di una maggiore concentrazione di CO2 sui vegetali; per esempio il professor Sherwood Idso, del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, ha osservato che con un incremento da 350 a 650 ppm di CO2 il tasso medio di crescita di 475 varietà di piante è aumentato di oltre il 50%, mentre aumentando la concentrazione a 2250 ppm la produttività è aumentata del 165% (pubblicato da The European Science and Environment Forum, 1996). Inoltre, si è osservato che in questa maniera aumentava anche l’efficienza delle piante nell’utilizzo dell’acqua, elemento che favorirebbe la coltivazione anche in zone affette da scarsità di piogge.
Del resto, la maggiore presenza di anidride carbonica nell’atmosfera può essere una delle cause dell’aumento delle foreste degli ultimi 50 anni. Sì, avete capito bene! Ma di questo parlerò in un altro post, in futuro.

Aggiungo un’ultima cosa sul tanto santificato Protocollo di Kyoto. Ricordando il calcolo di quanto la CO2 influenzi la temperatura globale, e tenendo conto delle riduzioni di emissioni che il Protocollo si prefigge, una sua perfetta attuazione permetterebbe una riduzione della temperatura di pochi centesimi di grado!!!
Il costo? Secondo stime dell’IPCC, che di certo non ha alcun interesse a denigrare il Protocollo, potrebbe essere di 18 quadrilioni (18.000.000.000.000.000 in cifre, 1.8*10^16 in notazione scientifica) di dollari (Alyster Doyle, Reuters, 27 ottobre 2003). Tradotto in percentuali, significa una quantità tra l’1% e il 4.5% del PIL mondiale fino al 2050. Simili cifre significano che, per raggiungere un risultato così esiguo, si spenderanno quantità inimmaginabili di risorse economiche, a tutto scapito dello sviluppo e quindi del progresso necessario a migliorare realmente la qualità della vita (si pensi a macchine più efficienti, auto meno inquinanti ecc.), per non parlare della mancata occupazione.
Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, la direttrice dell’International Council for Capital Formation, Margo Thorning ha calcolato che “l’applicazione del Protocollo di Kyoto potrebbe costare all’Italia una riduzione del PIL fino al 3% nel 2025, con una perdita di 280.000 posti di lavoro” (Avvenire, 2 dicembre 2003).

19 aprile 2007

Ipotesi sugli uragani nell'Atlantico

Da quando Katrina ha distrutto mezza New Orleans, si è fatto un gran parlare dell'aumento degli uragani negli ultimi anni, anche se in realtà questo fenomeno sembra circoscritto al solo oceano Atlantico. A tal proposito, mi sembra utile sottolineare due pubblicazioni dell'Università del Wisconsin sull'argomento, giusto per cercare di dare un'idea del livello attuale del dibattito in corso nella comunità scientifica, il quale è ben lontano dalle granitiche certezze che gli ambientalisti e la maggior parte dei mezzi di informazione (e recentemente anche Hollywood) sembrano volerci imporre.
La prima supporta l'ipotesi del collegamento tra riscaldamento globale e aumento dell'intensità degli uragani. Tuttavia, come si ammette nello studio, questa relazione pare verificarsi solo nell'Atlantico, e non negli altri oceani. Dunque si renderà necessario spiegare con nuovi studi il motivo per cui si abbia questa diversa reazione in diversi oceani. Mi sembra ovvio che se la relazione fosse diretta non si dovrebbe osservare una disparità di questo tipo: se il riscaldamento è globale, che senso ha che abbia influenze solo localmente?
Per rispondere o per lo meno dare un'idea di altri possibili fattori coinvolti, può venire in aiuto la seconda pubblicazione di cui parlo, in cui si evidenzia una correlazione tra uragani atlantici e la presenza in atmosfera di polveri provenienti dal Sahara (ritratte nella foto da satellite qui riportata): una maggiore presenza di queste ultime inibirebbe la formazione di cicloni, e vice versa. La cosa, per gli scienziati, ha senso perché la presenza di polveri secche in strati d'atmosfera affievolirebbe il processo di formazione degli uragani, che necessita di calore e umidità.

Naturalmente il dibattito è aperto, e c'è ancora molto da fare prima di capire bene quali siano tutti i fattori in gioco. Chiudo quindi con una raccomandazione: diffidate di chi cerca di vendere certezze, specialmente in un campo difficile e in fase di sviluppo come lo studio dei fenomeni climatici. Chi lo fa è poco competente e onesto, se non in malafede.

04 aprile 2007

Castronerie

Passato il periodo in cui Gianni Minà e compagnia (Pago Pena, Cumpai Segundo, ecc. ;-) ) dovevano quasi essere in lutto per la possibile dipartita del leader cubano, si è assistito a un ritorno nelle cronache da parte di quest'ultimo, autore negli ultimi giorni di due articoli in cui critica duramente, tanto per cambiare, Bush.
Nel primo di essi egli accusa il presidente degli USA di "condannare a morte 3 miliardi e mezzo di persone" con l'intenzione di utilizzare l'etanolo prodotto a partire dai cereali per ridurre la dipendenza dal petrolio. Quindi, se da una parte dobbiamo sentire gli ambientalisti criticare Bush perché non ha voluto firmare il protocollo di Kyoto, dall'altra si deve sentire un Castro criticare una misura volta a ridurre la dipendenza degli USA dall'oro nero, con conseguente riduzione dell'inquinamento. Della serie: come la fai e la fai, se ti chiami Bush devi essere criticato a prescindere. In tutto ciò, il titolo dell'articolo del Corriere è: "Castro ambientalista", quando condanna un tentativo di ridurre l'uso del petrolio...mah!
Il secondo articolo si pone sulla scia del primo e rincara la dose, arrivando a teorizzare che questa misura, vale a dire la produzione di etanolo, possa significare "l'internazionalizzazione del genocidio"... arimah!

27 febbraio 2007

La fiorente industria degli allarmi ambientali

Grazie a una segnalazione di Andrea su Square, linko un'intervista a Riccardo Cascioli, presidente del Cespas e autore di un libro, "Le bugie degli ambientalisti", del quale ho spesso parlato in passato.

Gli errori fanno, inevitabilmente, perdere credibilità. Che siano commessi da una persona o, ancor peggio, da una categoria lavorativa. Quante volte abbiamo sentito parlare di malasanità? E quando mai, invece, abbiamo udito la parola malainformazione?Il giornalismo commette una valanga d'errori. Talvolta perdonabili con un amichevole "errare è umano". Ma quando gli errori sono ripetuti senza la minima correzione, e quando - come spesso accade - a monte c'è la molto italiana pigrizia investigativa (leggere i documenti...), vien voglia di cambiare idea sull'abolizione dell'ordine dei giornalisti: non potrebbe servire a richiamare, punire e finanche sospendere chi sbaglia?

L'IPCC è un comitato permanente di mille scienziati di tutte le nazioni istituito dall'Onu al fine di studiare il mutamento delle caratteristiche climatiche del pianeta Terra. Dopo cinque anni (l'ultimo risaliva infatti al 2001) è ormai in dirittura d'arrivo un nuovo studio (il quarto), i cui dati finali parlano chiaro: "Entro la fine del secolo in corso, dunque al più tardi nel 2100, la temperatura superficiale della Terra crescerà probabilmente da 1,8 a 4 gradi centigradi".Qual è dunque il problema? Bè, con una probabilità del 90%, dicono, la colpa è dell'uomo. Quando la realtà, se non diversa, è quanto meno nebbiosa.

Nel poco spazio che ho vorrei citarvi due o tre fatti rilevanti. Dubbi sull'IPCC ce ne sono, ed è doveroso tenerne conto. Come possiamo ad occhi chiusi fidarci di un comitato che redige un documento ma in pubblico lo nega, affermando l'esatto contrario? Si, esatto. Il dottor Trenberth (Autore Principale dell'IPCC, responsabile della preparazione del testo sugli uragani,) nell'ultimo documento ufficiale ha sostenuto che il riscaldamento globale non è in alcun modo legato all'attività degli uragani. Invece cosa dice nelle conferenze a nome dell'IPCC? L'esatto contrario. È per questo che Christopher Landsea, uno dei massimi esperti mondiali di uragani tropicali, si è dimesso dall'IPCC, con un'interessantissima lettera, in cui denuncia, tra l'altro, la deriva ideologica e politica di un comitato la cui la neutralità sarebbe essenziale.

Occorre attenzione. Perché, come dice Antonio Zichichi: "La climatologia ha come fondamento matematico una struttura priva di soluzione analitica. Detto in modo semplice, non esiste l'equazione del clima". E trasformarla in uno strumento politico è ancora più facile che dichiarare guerra ad uno stato accusandolo di avere armi di distruzione di massa che in realtà non ha. A chi conviene? Ah, boh. Ma visto che i miliardi in gioco sono, se possibile, ancora di più, è bene andarci cauti. E noi (ma si, m'allargo...) giornalisti dovremmo prestare infinita cautela. Prendere tutto con le molle, non inseguire il titolone, muoverci incerti e dichiararci al lettore ignoranti.

09 febbraio 2007

L'effetto serra? C'è anche su Marte

Riporto un articolo che avevo letto sul sito del Corriere la settimana scorsa, è una lettura molto istruttiva che dà un'idea di quanto poco ne sappiamo sui fenomeni climatici e, di conseguenza, sulle loro cause.

Temperature in crescita anche su Giove e Saturno, uragani e sconvolgimenti climatici: tutta colpa del Sole
Su Marte non si trovano certo grandi metropoli asfissiate dallo smog e brulicanti di gente. E difficilmente individueremo raffinerie di petrolio quando ci spingeremo a esplorare i gelidi Plutone e Tritone, luna ghiacciata di Nettuno. Neanche è immaginabile aspettarsi su Giove autostrade affollate di vetture avvolte nei fumi dei tubi di scappamento. Eppure questi pianeti, come la Terra, si stanno surriscaldando! Le ultime immagini di Giove scattate dal telescopio Hubble nel maggio 2006 hanno difatti testimoniato la crescita sulla superficie del gigante gassoso di una nuova macchia rossa, simile alla tanto celebre Grande Macchia Rossa, e ribattezzata perciò Giovane Macchia Rossa (Red Spot Jr.). Fu osservata per
la prima volta nel 2000, ma negli ultimi 6 anni le sue dimensioni sono notevolmente aumentate.


Effetto Serra universale
Le evidenti anomalie cromatiche visibili su Giove sono in realtà dei giganteschi vortici atmosferici che si spingono fin oltre la copertura nuvolosa che avvolge il pianeta. Secondo ricercatori dell’Università della California il veloce e abnorme sviluppo della Giovane Macchia Rossa è indizio di grandi sconvolgimenti climatici in atto su Giove, associati negli ultimi anni a un rapido e intenso riscaldamento, anche di 5 °C, di alcune regioni del pianeta.
Ma c’è anche un altro spettacolare vortice che di recente ha attirato l’attenzione degli astronomi. Su Saturno la sonda Cassini ha fotografato in prossimità del Polo Sud un enorme e insolito uragano, con venti a oltre 550 chilometri orari e un diametro di circa 8000 chilometri, cioè più della distanza che separa Roma e Pechino, mentre il muro di nubi che ruota attorno all’occhio del ciclone si innalza all’interno dell’atmosfera fino a oltre 70 chilometri di quota.

COME DA NOI: PIU' CALDO, URAGANI PIù VIOLENTI Le caratteristiche di questa tempesta, secondo studiosi del California Institute of Technology di Pasadena, potrebbero indicare uno sviluppo simile a quello dei cicloni tropicali sulla Terra: sarebbe cioè la grande disponibilità di calore (nel caso del gelido Saturno, temperature sensibilmente meno fredde rispetto al normale) ad alimentare l’uragano. Del resto sia il telescopio Keck di Mauna Kea sia la sonda Cassini avevano recentemente registrato un riscaldamento di circa 2 °C proprio nella regione del Polo Sud di Saturno. Il surriscaldamento planetario però non si è fermato ai corpi celesti relativamente più vicini a noi, ma sembra aver raggiunto anche quelli più lontani, perennemente avvolti nel gelo siderale. Come testimoniato da ricerche del Massachusetts Institute of Technology, su Plutone dalla fine degli anni ’80 a oggi la pressione atmosferica è più che triplicata, a causa del graduale innalzamento delle temperature (circa 2 °C) che ha spinto parte dell’azoto surgelato in superficie a evaporare e passare in atmosfera. Su Tritone, invece, il fenomeno è stato ancora più marcato: dal 1989, anno del passaggio della sonda Voyager, la temperatura è passata da circa 200 a 193 gradi sotto zero, tanto che anche la sua atmosfera sta diventando di anno in anno sempre più densa. Se nel caso di Plutone l’aumento delle temperature si può in parte spiegare con la sua lunga orbita di rivoluzione, che lo porta a fare un giro intero attorno al Sole nel corso di 248 anni terrestri e che proprio nell’ultimo decennio lo ha spinto nel punto più vicino alla nostra stella, più difficile è invece trovare una spiegazione al surriscaldamento della luna di Nettuno. E come se non bastasse, ora è giunta notizia che su Marte, dopo le voragini osservate nelle calotte polari, indizio di un recente scioglimento, la sonda Mars Global Surveyor ha fotografato tracce di erosione del suolo che potrebbero essere prova dell’occasionale scorrimento di acqua. Insomma stiamo assistendo a un riscaldamento che sembra interessare tutto il Sistema Solare.

IL RESPONSABILE? IL SOLE, MA IN MODO INSOLITO Ma se l’uomo, almeno in questo caso, non ha colpe, chi è il responsabile del riscaldamento interplanetario?Il maggior indiziato sembra essere il Sole. In effetti siamo spesso erroneamente portati a credere che l’attività della nostra stella sia costante nel tempo, o almeno che subisca variazioni solo su tempi assai lunghi, mentre in realtà l’energia che essa emette verso lo spazio in tutte le direzioni subisce nell’arco di anni e decenni variazioni periodiche percentualmente assai piccole ma comunque in grado di influenzare il clima della Terra. I venti e tutti i principali fenomeni atmosferici si alimentano attraverso il calore che, sotto forma di radiazione elettromagnetica, arriva dal Sole: una quantità di energia che, nel punto in cui raggiunge la nostra atmosfera, è mediamente quantificabile in circa 1367 Watt per metro quadro. E sono proprio le cicliche variazioni dell’energia emessa dal Sole che, tra il quattordicesimo e il quindicesimo secolo, hanno spinto l’Europa e il Nord America verso un periodo estremamente freddo, noto come Piccola Era Glaciale e culminato tra il 1645 e il 1710 in una fase caratterizzata dall’assenza di macchie solari (nota come Minimo di Maunder) durante la quale il calore che giungeva sulla superficie terrestre era inferiore rispetto a oggi di una quantità tra lo 0,2 e lo 0,7 per cento. Nel corso dell’ultimo secolo invece l’attività del Sole è andata progressivamente crescendo e ha così contribuito all’aumento delle temperature sulla Terra. E mai negli ultimi 1150 anni il Sole ha emesso tanta energia come ai giorni nostri. In particolare ricercatori dell’Earth Institute della Columbia University americana, analizzando i dati raccolti da 6 diversi esperimenti con satelliti di NASA, NOAA ed ESA, hanno recentemente evidenziato un aumento dell’ordine di circa 0,05 per cento per decennio, a partire dal 1978, della TSI, sigla che corrisponde alla Total Solar Irradiance, ovvero l’energia elettromagnetica che la Terra riceve dal Sole su tutte le lunghezze d’onda. Ma può bastare il Sole per spiegare un così evidente aumento di temperatura anche nei pianeti ai confini del Sistema Solare? Forse sì, soprattutto alla luce di una recente ricerca di Adriano Mazzarella, responsabile dell’Osservatorio Meteorologico dell’Università di Napoli Federico II. Secondo questa ricerca, oltre alla radiazione elettromagnetica, cioè luce e calore, anche le particelle cariche emesse dal Sole assumono un ruolo importante nell’influenzare il clima terrestre. I gas a temperature altissime della parte più esterna dell’atmosfera solare, la corona, fuggono in parte verso lo spazio, dando origine al vento solare: getti turbolenti di particelle cariche, per lo più protoni, elettroni e nuclei di elio che si propagano a gran velocità in tutte le direzioni. Questo flusso, interagendo con il campo magnetico terrestre, dà origine non solo a fenomeni spettacolari quali le aurore polari, ma è anche causa di serie difficoltà nelle comunicazioni: il 29 ottobre 2003, per esempio, il Sole sparò miliardi di tonnellate di particelle elettricamente cariche verso la Terra a una velocità di oltre sei milioni di chilometri l’ora. L’impatto di questa grandinata di particelle sul campo magnetico terrestre diede origine alla più grande tempesta geomagnetica mai misurata sulla Terra, responsabile tra l’altro di un black out della rete Gps che durò diverse ore.

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23 novembre 2006

Grattacielo ecologico negli USA

Riporto un'interessante notizia appresa dal blog di Camelot e riportata sul sito del Corriere:

NEW YORK — Nell'immaginario della Corporate America, il colore verde è sinonimo di soldi dal lontano 1862. Quando la prima banconota verde marcio da 1 dollaro fu emessa dall'U.S. Department of the Treasury. Nell'America del nuovo millennio «green» indica tutt'altra cosa: la nuova tendenza all'edilizia ecologica promossa dai giganti della finanza, che si sono fatti promotori di una rivoluzione destinata a cambiare non solo il volto delle grandi città, ma anche, si spera, il futuro del pianeta.

BANKAMERICA — La punta di diamante del nuovo trend è New York dove, a pochi passi da Times Square, sono iniziati i lavori dell'edificio più ecologico del mondo. Il grattacielo della Bank of America, che lo studio Cook+Fox Architects inaugurerà nel 2008. Una torre di 54 piani su 365 metri d'altezza a un costo di un miliardo di dollari. Oltre a essere il secondo più alto di New York dopo l'Empire State Building, il grattacielo è il primo della storia a ricevere l'ambitissimo certificato al platino mai emesso dall'U.S. Green Building Council, l'equivalente dell'Oscar per l'eco-architettura. Per aggiudicarsi il riconoscimento, il grattacielo sarà costruito in gran parte di materiali (vetro, acciaio e alluminio) riciclabili o riciclati. «Non sarà solo un palazzo spettacolare, ma anche il più ecologicamente responsabile che si possa immaginare», teorizza Douglas Durst, co-presidente di Durst Organization, la società incaricata della costruzione. Così, dice il governatore Pataki, «si protegge l'ambiente creando lavoro».

OASI VERTICALE — Sul tetto della nuova eco-torre, Durst costruirà una vera e propria giungla di piante, alberi e cespugli, che ne ridurranno l'impatto termico e ambientale. La sua energia sarà quasi tutta generata sul posto. Con l'ausilio di una turbina eolica sistemata su una delle due guglie e di un impianto da 4,6 Megawatt, dotato di unità di immagazzinamento termale che produrranno ghiaccio di notte, quando i costi dell'energia sono al minimo, da utilizzare negli impianti di condizionamento. Un sistema di riciclaggio dell'acqua piovana consentirà inoltre di risparmiare milioni di litri d'acqua mentre anche le toilette saranno a basso consumo idrico, con orinatoi ad autopulizia chimica, biodegradabile e senza sciacquone, del tipo già usato alla Jimmy Carter Library e al Taj Mahal.

PUBBLICO E PRIVATO — Se l'amministrazione Bush si è contraddistinta come la meno ecologica della storia, la Corporate America ha deciso di assumere la leadership nella crociata salva- pianeta. «Che c'è di male nel profitto?», si chiede il New York Times in un lungo articolo dedicato ai nuovi, ricchissimi pionieri dell'eco-trend, in gara tra loro per trasformare le città americane in luoghi più vivibili. Al boom dell'eco-architettura s'ispirano molti dei nuovi edifici della Manhattan post-11 settembre. Dal grattacielo Hearst, disegnato da Lord Norman Foster tra la 57˚ strada e l'8a Avenue al New York Times Building progettato da Renzo Piano sulla 41˚ strada West. Dal 7 World Trade Center della Silverstein Properties al Solaire, il primo eco-grattacielo residenziale d'America, a due passi da Ground Zero.

MILANO — La febbre ha finito per contagiare anche l'Italia. Dove Hines (che ha costituto con il Fondo CalPers il Green Development Fund, con investimenti per 500 milioni di dollari) è impegnata esclusivamente nella costruzione di edifici ecologicamente sostenibili. A Milano sono stati avviati secondo questi criteri i progetti di Garibaldi-Repubblica delle Varesine e di Isola-Lunette.

Ora, trovo interessante questa notizia in particolar modo perché mi permette di esprimere un'idea che, per quel che si sente spesso dire, sembra controintuitiva, ma che in realtà rappresenta bene lo stato delle cose: non ci può essere una vera attenzione verso l'ecologia se non c'è sviluppo.
Potrebbe sembrare strano, ma è così: se una popolazione sopravvive a stento, è assurdo immaginare che possa pensare a non inquinare l'ambiente; semplicemente questa non può essere una sua priorità. Laddove invece c'è sviluppo e industrializzazione, il surplus creato sarà spendibile anche verso una maggiore attenzione per i consumi e l'inquinamento.
Non è quindi un caso che questo "nuovo trend" parta dai tanto vituperati Stati Uniti!

17 novembre 2006

Riscaldamento globale ed effetto serra II

Continua da qui:

La discrepanza tra le misurazioni al suolo e da satellite

L'effetto serra dipende dalla quantità dei gas-serra, e se questi aumentano, a temperatura del suolo invariata dovrebbe aumentare anche la temperatura della troposfera, e in un secondo tempo, attraverso i complessi meccanismi di scambio del calore, anche la temperatura alla superficie.
Ma i dati rilevati al suolo non concordano con quelli misurati dai satelliti. E non si riesce a capire come possa essere aumentata la temperatura in superficie di 0,5 gradi, mentre quella degli strati più bassi dell'atmosfera è rimasta pressoché invariata.
Secondo quanto riferito da Bjorn Lomborg nell' Ambientalista Scettico
(pag 272/273 - fig. 139), tutti i modelli teorici prevedono che, se aumentano i gas-serra, la temperatura della troposfera deve aumentare in misura superiore o quanto meno uguale a quella del suolo. E' talmente inspiegabile questa discrepanza che all'inizio si pensava che gli strumenti del satellite fossero stati mal tarati. Ma dopo i controlli è venuta anche la constatazione che i loro dati coincidono completamente con quelli dei palloni sonda, che rilevano in maniera diretta la temperatura dell'aria a diverse altezze.
Ma allora non potrebbero essere sbagliati i dati misurati al suolo?
Molti scienziati lo pensano, e osservano che i termometri spesso non hanno una buona manutenzione, sono soggetti a distorsioni che che quasi sempre spingono verso l'alto i valori misurati rispetto a quelli reali, e sono distribuiti in maniera poco omogenea. Infatti sono concentrati in poche regioni, mentre sono quasi del tutto assenti in Africa, nell'Asia settentrionale, nelle calotte polari e negli oceani. Inoltre a quanto pare non si è tenuto nel debito conto il fenomeno chiamato "isola di calore urbano". Ed è noto che nelle città, a causa del traffico, del riverbero in estate e del riscaldamento in inverno, la temperatura è quasi sempre più alta rispetto alle zone circostanti. (Per la descrizione dettagliata dei numerosi fattori distorsivi di cui non si sarebbe tenuto conto, e per una trattazione più completa ricca di dati scientifici di prima mano, vedi l'articolo: "Effetto serra, siamo prudenti. Stiamo a guardare"). Quindi potrebbe anche essere che nell'ultima parte del secolo non ci sia stato alcun aumento della temperatura, oppure che il riscaldamento sia stato di dimensioni molto più modeste: un decimo di grado anziché cinque decimi, probabilmente dovuto, almeno in parte, a cause naturali. Ma un moderato aumento della temperatura avrebbe conseguenze nel complesso positive, così com'è avvenuto in tutte le epoche storiche in cui il clima era più caldo di oggi.
D'altra parte, se si dovesse prendere per buono l'aumento di 0,5 C° misurato al suolo, le conseguenze sarebbero paradossali. Dato che l'effetto serra dipende dalla capacità dell'atmosfera di assorbire parte della radiazione emanata dalla superficie terrestre (compresi i mari e gli oceani), se la temperatura al suolo aumenta mentre quella dell'atmosfera rimane invariata, bisognerebbe concludere che l'effetto serra è diminuito!
Eppure, proprio su un dato così incerto sono state basate le previsioni di un consistente aumento della temperatura nei prossimi cento anni, per scongiurare il quale ben 160 paesi si sono convinti a firmare il protocollo di Kyoto al fine di ridurre le emissioni di anidride carbonica (ma solo alcuni, in pratica i paesi europei, hanno sottoscritto degli impegni).
Ma la previsione di un catastrofico aumento della temperatura a livello globale non è realistica. Sia perché, come si è visto, il dato di partenza è quasi sicuramente sbagliato, ma anche perché i modelli matematici non riescono ancora a tenere conto di tutti i fattori che influenzano il clima. Infine la potenza dei computers è ancora largamente insufficiente per far girare dei modelli climatici abbastanza dettagliati.
Ma se fra 10 o 20 anni questi problemi saranno stati superati, e se si potrà dimostrare che l'aumento dell'anidride carbonica dovuto alle attività umane non è in grado di modificare più di tanto la temperatura del pianeta (cosa molto probabile in base a quello che sappiamo oggi), allora diventerebbe conveniente fare esattamente il contrario di quello che vuole il protocollo di Kyoto, cioè riconvertire le centrali a carbone e a bitume proprio per alzare il più possibile il tasso di anidride carbonica, perché questo provocherebbe un aumento della massa vegetale su tutta la Terra.

Il ciclo del carbonio

L'anidride carbonica, infatti, non è solo un gas serra, ma anche il principale fattore di crescita delle piante. Le piante sono fatte principalmente di carbonio, e il carbonio lo prendono dall'aria, dove è presente sotto forma, appunto, di anidride carbonica. Durante la reazione clorofilliana le piante assorbono il biossido di carbonio attraverso gli stomi, delle piccole aperture, invisibili ad occhio nudo, presenti sulla superficie delle foglie. E maggiore è la concentrazione della CO2 nell'atmosfera, maggiore è la velocità con cui essa viene assorbita, e più veloce è la crescita vegetativa.
L'accelerazione della crescita non è la stessa per tutte le piante. Ricerche che hanno preso in considerazione centinaia di piante diverse hanno mostrato che, se si raddoppia la percentuale della CO2, gli alberi accelerano la loro crescita di circa il 50%, mentre gli altri vegetali del 25 / 30%. E sono sempre di più le coltivazioni in serra che si avvalgono di percentuali doppie o triple di questo gas. Del resto l'aumento del tasso di anidride carbonica avvenuto dall'inizio dell'era industriale ad oggi sta già dando una forte spinta alla crescita sia delle piante coltivate che di quelle spontanee.
Ma il ciclo del carbonio ha anche la capacità di influenzare la temperatura del pianeta, e forse in misura maggiore di quanto non possa farlo l'anidride carbonica come gas-serra.
Dato che le piante rilasciano umidità, se cresce la massa vegetale, aumenta anche l'umidità atmosferica e questa, come si è visto, è il principale gas-serra. Inoltre le piante assorbono una parte della radiazione solare, che così viene sottratta all'effetto riscaldante del suolo. Infine, quando la vegetazione si espande o si riduce, si modifica l'albedo, e quindi la quantità di radiazione solare assorbita dalla superficie terrestre. Ma se una maggiore concentrazione della CO2 faccia realmente aumentare o diminuire la temperatura globale, e di quanto, lo si potrà sapere solo quando ci saranno dei modelli matematici molto più evoluti degli attuali. Ad ogni modo questo effetto riscaldante o raffreddante passerebbe attraverso un aumento della massa vegetale che, proprio dal punto di vista ambientale, non può certo essere considerato un fatto negativo.

La rivolta della comunità scientifica

Tutto quello che oggi si può dire è che l'aumento recente del tasso di anidride carbonica non sembra stia provocando un catastrofico surriscaldamento del pianeta, cosa che peraltro non esclude possibili modifiche degli equilibri climatici a livello locale (non necessariamente dovute a cause umane). In ogni caso, l'individuazione di eventuali situazioni problematiche, responsabilità e proposte di soluzione, può venire solo da una più approfondita ricerca scientifica, e non da interessate campagne mediatiche o da pregiudizi ideologici.
Per tutti questi motivi un numero sempre maggiore di scienziati sta prendendo posizione di fronte ad affermazioni che spesso hanno la stessa valenza scientifica degli oroscopi.
Un manifesto redatto dall'Oregon Institute afferma: “Non ci sono evidenze scientifiche che il rilascio di anidride carbonica o altri gas serra, prodotti dalle attività umane, stia causando, o lo farà nel prossimo futuro, un catastrofico riscaldamento dell'atmosfera terrestre e un eventuale cambiamento climatico. Al contrario, ci sono sostanziali evidenze scientifiche che l'aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera produrrà molti benefici sia per quanto riguarda la crescita delle piante sia lo sviluppo dell'ambiente animale della terra”. Questa dichiarazione è stata immediatamente sottoscritta da 17.000 scienziati, e contro il dogma dell'effetto serra si sono pronunciate anche molte altre accademie scientifiche.
In conclusione non sembrano affatto giustificate le misure previste dal protocollo di Kyoto, e ancora meno, dato il loro costo e la scarsa efficacia nel perseguire lo scopo che si prefiggono, altri quattro o cinque protocolli dello stesso tipo che qualcuno ha già preannunciato.
In realtà questa politica, e la logica che la ispira, sembra avere come unico fondamento il solito pregiudizio ideologico contro la crescita economica e lo sviluppo.

16 novembre 2006

Riscaldamento globale ed effetto serra I

In questi giorni si sta svolgendo a Nairobi la conferenza mondiale sui cambiamenti climatici. Dal momento che si tratta di una serie di giorni in cui saranno lanciati i più assurdi allarmi, ho deciso, nel piccolo del mio blog, di riservare uno spazio giornaliero alla questione del riscaldamento globale, riportando il contenuto di una pagina di un interessantissimo sito che ho scoperto di recente. Tale esposizione combacia esattamente con il mio modo di vedere la questione e le mie attuali conoscenze.


Effetto serra

Tutto parte da un aumento di temperatura di mezzo grado misurato al suolo nell'ultimo quarto del secolo scorso. Da qui discendono tutti i discorsi sul riscaldamento del pianeta, le previsioni di terribili sconvolgimenti climatici, e i rimedi da adottare per ridurre il tasso di anidride carbonica, causa di questi disastri.
Ma quello dell'aumento globale della temperatura è un dato a dir poco controverso, e sono sempre di più gli scienziati che stanno prendendo posizione contro affermazioni che hanno spesso lo stesso valore di un oroscopo.

Misurare la febbre dal pianeta
Se vogliamo provarci la febbre, è sufficiente che ci misuriamo la temperatura una volta sola, perché la circolazione del sangue distribuisce nel nostro organismo non solo le sostanze nutrienti, ma anche il calore.
Ma misurare la febbre del pianeta non è altrettanto semplice. Gli scambi di calore tra terre emerse, oceani e atmosfera, che avvengono per conduzione, convezione e irraggiamento, sono fenomeni complessi e non ancora del tutto compresi.
La temperatura della Terra viene misurata in due modi. Il primo consiste nell'effettuare rilevazioni in diversi punti della superficie e poi fare la media. In base a queste misurazioni dal 1970 al 2000 la temperatura globale sarebbe aumentata di 0,5 gradi centigradi.
Il secondo consiste nel misurare la temperatura dell'atmosfera con l'aiuto dei satelliti. Dal 1979 i satelliti circumpolari misurano la temperatura media di diversi strati della troposfera (la parte più bassa dell'atmosfera). Essi si muovono su un piano orbitale che rimane fisso rispetto al firmamento, e dato che la Terra ruota su se stessa, ad ogni orbita possono scandagliare uno spicchio diverso del globo. Coprono quindi, con le loro osservazioni, tutta la superficie del pianeta, e le loro misurazioni sono molto precise, complete ed omogenee.
Dalle misurazioni satellitari effettuate dal 1979 al 2001 non emerge però alcuna chiara tendenza all'aumento della temperatura, che pur con qualche oscillazione rimane più o meno costante, e questo dato non è in accordo con le misure prese al suolo.
Chi ha ragione? Chi denuncia il pericolo di un catastrofico riscaldamento del pianeta, o chi sostiene che non ci sono prove che la Terra abbia la febbre?
Per riuscire a capirci qualcosa bisogna innanzitutto tenere conto di come funziona il meccanismo dell'effetto serra.

L'effetto serra naturale
Ogni corpo caldo irradia energia, e sia la quantità che il tipo delle radiazioni emesse, contraddistinte da particolari lunghezze d'onda, dipendono dalla sua temperatura. Il Sole ha una temperatura in superficie di 6.000 gradi, e di conseguenza emette la maggior parte della sua radiazione nel campo della luce visibile, ma rilascia anche una certa quantità di luce ultravioletta e una quantità minore di radiazione nel "vicino infrarosso".
La radiazione ultravioletta, molto energetica, viene catturata dallo strato di ozono che divide la troposfera dalla bassa stratosfera (all'altezza di circa 12 / 13 km), e non raggiunge la superficie della Terra. La luce visibile invece attraversa l'atmosfera diffondendosi nell'aria, ma senza quasi riscaldarla. Quando raggiunge il suolo o le nuvole, viene in parte assorbita e in parte riflessa.
La quantità di radiazione luminosa che il suolo o le nubi possono assorbire dipende dall'albedo. Maggiore è l'albedo, maggiore è la percentuale di luce che viene riflessa e si disperde nello spazio. La parte rimanente viene assorbita dal suolo e lo riscalda. Poiché ogni corpo caldo emette energia, e poiché la temperatura della superficie terrestre è bassa (in media 15 gradi C°), la maggior parte della sua radiazione viene a trovarsi nel campo dell'infrarosso termico. L'80% della radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre si disperde, mentre il restante 20% riscalda il vapore d'acqua e i gas serra che a loro volta diffondono il calore nell'atmosfera.
L'acqua atmosferica è responsabile del 98% dell'effetto serra, mentre i gas serra propriamente detti (anidride carbonica, metano, protossido di azoto ecc.) si contendono il restante 2%. Questa stima è basata sulla quantità di calore che può assorbire ogni molecola di gas, e sulla quantità, ugualmente ben conosciuta, dei vari gas-serra e dell'acqua atmosferica.
Questo è l'effetto serra naturale, che di per sé è un fatto positivo: infatti se non ci fosse la temperatura media della terra sarebbe di -18 gradi, e ben poche forme di vita potrebbero sopravvivere.

L'effetto serra antropico
L'effetto serra atmosferico, quindi, fa aumentare la temperatura della superficie terrestre di 33 gradi. Ma quanto di questo effetto riscaldante dipende dall'anidride carbonica prodotta dalle attività umane? I gas serra complessivamente contribuiscono con 0,66 C° (2% di 33 C°), e l'anidride carbonica con circa un terzo di questa quantità.
Poiché la CO2 in 50 anni è aumentata da 316 a 376 parti per milione, cioè di circa un sesto, l'effetto serra antropico dà un contributo di 0,036 C° (0,22 : 6).
In altre parole il contributo delle attività umane al riscaldamento del pianeta negli ultimi 50 anni dovrebbe essere di 3,6 centesimi di grado centigrado. E anche se si volesse raddoppiare questo valore per un eccesso di prudenza, l'effetto serra antropico non supererebbe il decimo di grado.
Queste le previsioni teoriche. Ma i dati scientifici raccolti in questi anni, confermano queste previsioni, o giustificano i ricorrenti allarmi sulla febbre del pianeta?

Continua domani.

06 novembre 2006

Qualche commento per i comici del WWF

Stuzzicato da questo post di Andrea, ho trovato sul sito dell'Istituto Bruno Leoni un po' di articoli che commentano il rapporto del WWF, al quale avevo già accennato in un precedente post, secondo cui le risorse del pianeta si esauriranno entro il 2050.
Gli articoli sono molti (sono i primi sei di questa pagina) ma ne riporto un paio in particolare:

Dev’essere successo qualcosa di terribile, ieri, in Italia. Qualcosa che non vogliono farci sapere. Non si spiega altrimenti, perché il Corriere della sera abbia centrato per mezza-giornata-mezza il suo sito Internet sulla regina delle non-notizie. Il Wwf che dice: consumiamo troppo, la Terra è spacciata È come se oggi il titolo di Libero fosse: Papa Ratzinger ai fedeli, ‘andate a messa, la domenica’. Sai che roba. Sono trent’anni, grossomodo cioè da quando esistono, che i verdi continuano a prevedere la fine del mondo. Lo fanno ogni tot mesi, è il loro mestiere. Lo fanno senza interrogare gli oracoli, che di norma pretendono una bestiola in sacrificio, ma organizzando periodiche sedute spiritiche, aspettando quel sibilo nell’aria: “Gradoli”. Per ora, nulla. L’ultima profezia individua l’anno ferale nel 2050. Sorridete, il nostro tempo sta per scadere.

C’è da crederci, come sembra fare il Corriere? Assolutamente no, e il suo direttore Paolo Mieli, che ai tempi è stato in Italia fra i pochissimi a dare credito e spazio all’ambientalista scettico Bjorn Lomborg, lo sa bene. Lo sa anche perché Mieli per mestiere è direttore, ma per vocazione è storico. E allo storico non può sfuggire, la sottile differenza che passa fra la Cassandra che vede Troia in fiamme, e quella che grida all’incendio mentre fuori si gela.

Qualche esempio.

Nel 1905, il proto-ecologista ma cacciatore Teddy Roosevelt aveva annunciato che le riserve mondiali di legname si sarebbero esaurite in qualche decennio. Sorpresa. Cent’anni dopo, noi continuiamo a vivere in case fornite di mobili, a leggere libri, a comprare il giornale.

Nel 1980 il presidente americano Carter, basandosi su uno studio da lui commissionato, fece sapere che nel 2000 sarebbero finite le risorse alimentari. Non quelle del frigorifero di mia zia, ma della Terra. Di tutta la Terra. Sono passati sei anni e continuiamo a mangiare.

Nel 1972 il Club di Roma, un cenacolo di cervelloni con l’hobby di far scoppiare il mondo, sostenne con autorevolezza che le riserve di oro sarebbero terminate entro il 1981, quelle di zinco entro il 1990, il petrolio entro il 1992, il piombo, il rame e il metano entro il 1993. Venticinque anni dopo la sua presunta data di morte, l’oro continua a venire estratto dalle viscere della Terra. È vero, si seguita a dare per certa la fine del petrolio. Però, a parte il fatto che se il greggio si esaurisse domani sarebbe comunque durato quattordici anni più del previsto, tali irrazionali paure non sono suffragate dall’unico indicatore oggettivo di scarsità: ovvero, il sistema dei prezzi. Invece, si continua a trivellare, e il prezzo dell’oro nero è esposto a fluttuazioni che parlano più di geopolitica, che del suo imminente esaurimento.
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La profezia di sventura lanciata dal Wwf, convinto che a questo tasso di crescita nel 2050le risorse naturali si esauriranno, è l’ennesima bufala prodotta dal catastrofismo ecologista. Destinata ad essere smentita dai fatti.

Già nel 1980 un grande studioso, Julian Simon, “sfidò a duello” un guru dell’ecologismo alla moda, Paul Ehrlich; e vinse la sua battaglia. Stufo di sentire che le risorse stavano finendo, Simon chiese a Ehrlich di scommettere che nell’arco di dieci anni ben cinque materie prime fondamentali (stagno, rame, nickel, tungsteno e cromo) avrebbero avuto un prezzo inferiore: a dimostrazione che non c’erano problemi di scarsità. L’ecologista accettò e perse, dato che dieci anni dopo lo stagno costava il 72% in meno, il rame il 18,5% in meno, il nickel il 3,5%, il tungsteno il 57% e il cromo il 40%.

La storia dell’ultimo secolo è costellata di profezie ecologiste che non si sono realizzate: come quando il Club di Roma di Aurelio Peccei pubblicava studi ricchi di grafici che avrebbero voluto convincerci che il mondo non sarebbe arrivato nel terzo millennio.

Si potrebbe ritenere che gli ecologisti sono un po’ bugiardi, ma non dannosi. E invece non è così. Lungi dall’essere “la soluzione”, in larga misura oggi gli ecologisti sono “il problema”. Se c’è un briciolo di verità nel ridicolo manifesto diffuso dal Wwf essa sta nel fatto che – soprattutto a causa della propaganda ambientalista – troppe risorse sono statali e limitate nel loro utilizzo dalle leggi. In assenza di logiche imprenditoriali, così, non si può escludere che la gestione delle risorse naturali sia nel segno degli acquedotti pubblici: che fanno acqua da tutte le parti.
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31 ottobre 2006

Qualcosa sui cambiamenti climatici

Negli ultimi giorni ho constatato un assalto da parte degli ambientalisti, con notizie e interventi vari sui temi del riscaldamento globale, dell'inquinamento ecc.
Raccogliendo quelli che ricordo, ci sono: il rapporto del consigliere economico di Blair, che arriva a ipotizzare nei prossimi anni una crisi, provocata dall'effetto serra, paragonabile a quella del '29, il rapporto del WWf sull'esaurimento delle risorse entro il 2050, e in più vari interventi nei media, come quello di Tozzi (conduttore di "Gaia") al Ruggito del Coniglio, e quello di Giulietto Chiesa (ancora lui!!!) da Crozza ieri sera...
Tutti parlano della stessa cosa, e devo dire che, senza dubbio, si tratta di un bel lavaggio del cervello, al quale siamo stati sottoposti tutti sin da bambini. Anch'io, a causa di questo lavaggio del cervello sono cresciuto con certe convinzioni, fino a quando ho iniziato a metterle in dubbio, grazie anche a qualche libro e alla mia formazione scientifica.
Purtroppo alle associazioni ambientaliste interessa poco degli studi scientifici, ma fanno solo terrorismo nei confronti della popolazione, contribuendo a creare miti, che in alcuni casi fanno più danni di ciò a cui vorrebbero rimediare. Eclatanti in tal senso sono vicende come quella del DDT, il cui bando ha provocato in Africa milioni di morti per malaria.
L'anno scorso, dopo l'uragano Katrina, si è giunti ad assistere a scene di un opportunismo raccapricciante, in cui alcuni quasi gioivano nell'ipotizzare che la natura si fosse rivoltata contro la nazione il cui presidente non aveva firmato il trattato di Kyoto.
E dagli a dire che una stagione come quella scorsa (effettivamente la peggiore di sempre, per quanto riguarda gli uragani in quell'area dell'Atlantico) era causa dei cambiamenti climatici, che se non si fa come dicono loro sarà sempre peggio, ecc.
Terrorismo verbale, come dicevo.
Eppure, per rimanere sul tema degli uragani, ho trovato un articolo da cui si capisce come non vi sia affatto accordo nel mondo scientifico su quali siano le cause del lieve incremento che si è osservato negli ultimi anni in quell'area. C'è chi osserva, addirittura, che tenendo conto per esempio anche degli eventi registrati nel bacino del Pacifico Orientale, il loro numero non sia affatto cresciuto, ma sia stazionario. Del resto, se la causa fosse il riscaldamento globale, l'incremento dovrebbe avvenire ovunque o quasi. Consiglio davvero di leggere l'articolo, dà un'idea di quale sia realmente il dibattito sul tema.
Le posizioni a riguardo sono diverse, per cui le associazioni ambientaliste, che riportano al grande pubblico queste cose come scientificamente vere, semplicemente mentono, più o meno in malafede.

19 maggio 2006

L'IRS ha la mano pesante con Greenpeace

In un precedente post spiegavo la struttura economica di Greenpeace USA, consiglio di leggerlo per capire meglio di cosa si parla in questa notizia presa dal sito del PIW (Public Interest Watch):

Dopo un'intensa verifica contabile, l'Internal Revenue Service ha trovato nove mancanze nella gestione e nelle pratiche di Greenpeace USA e ha avvisato che "l'insuccesso nell'assicurare l'adeguatezza dei fondi concessi e donati potrebbe pregiudicare lo stato di esenzione di Greenpeace Fund". Infatti ai due bracci di Greenpeace USA, il suo 501 c3 Greenpeace Fund e la sua ala di pressione 501 c4 Greenpeace Inc., è stato detto di cambiare le loro pratiche "a causa della natura illegale" delle loro attività.
Nel 2003, Public Interest Watch si lamentò presso l'IRS riguardo l'uso di contributi deducibili da parte di Greenpeace per "azioni dirette" e altre attività illegali. PIW contestò anche a Greenpeace Usa di veicolare il denaro esentasse a Greenpeace International. L' IRS sta forzando Greenpeace a cambiare queste pratiche, giustificando l'esame critico di PIW dell'organizzazione.
I link sotto contengono le lettere intere di IRS a Greenpeace Fund e Greenpeace Inc.

Lettera di IRS a Greenpeace Fund (501 c3)

Lettera di IRS a Greenpeace Inc. (501 c4)

09 maggio 2006

Gli sporchi amerikani inquinano...sempre meno

Segnalato a catena da Paolo di Lautreamont e da happytrails, ho trovato un rapporto dell'EPA (Environmental Protection Agency) che prova come negli anni dal '70 a oggi ci sia stato un inequivocabile calo delle emissioni nocive negli Stati Uniti. In questa pagina si possono trovare tutti i rapporti, per argomento.
In particolare, il primo mostra trend generici per cui, a fronte di un costante aumento della crescita della produzione, del traffico, del consumo di energia e della popolazione, si osserva un netto calo nell'emissione dei sei principali inquinanti.
Nel rapporto sull'inquinamento da particelle si vede invece come le concentrazioni di PM10 siano scese in media, dal 1988 al 2003, del 31%, mentre le PM2.5 del 30% negli ultimi 25 anni. In questo capitolo si possono vedere i trend regione per regione.
Consiglio una lettura, specie a chi soffre di pessimismo cronico.

Joel Schwartz, in un articolo, sottolinea come gli ambientalisti affermino invece addirittura il contrario:

Environmental fear factories aren't celebrating. Shortly after the 2005 ozone season ended, the environmental group Clean Air Watch proclaimed "Smog Problems Nearly Double in 2005."[2] Pennsylvania's Department of Environmental Protection warned "Number of Ozone Action Days Up from Last Year."[3] And EPA's New England regional office noted that "New England Experienced More Smog Days during Recent Summer."[4] Writing on 2005 ozone levels in Connecticut, a New York Times headline warned "A Hot Summer Meant More Smog.[5]

Ozone levels were indeed higher in 2005 when compared with 2004. 2005 was only the second lowest ozone year since the 1970s, while 2004 was the lowest. Ozone levels were so improbably low in 2004 that it would have been astounding if ozone wasn't higher in 2005. The real news was the unprecedented plunge in areas violating the ozone standard, and the fact that 2005 was one of the hottest years on record -- conditions that favor high ozone -- yet ozone levels remained at historic lows.[6] Both stories have gone unnoticed by the mainstream media.

Questo discorso si ricollega bene alla mia serie di post sugli ambientalisti, poiché anche se non ho ancora parlato dei loro cavalli di battaglia, ho già accennato al catastrofismo come modus operandi delle organizzazioni ambientaliste, e questo ne è un ottimo e attuale esempio.

06 maggio 2006

Le radici dell'ecologismo e il raggiungimento della popolarità

Nel precedente post sul libro "Le Bugie degli Ambientalisti" (di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, ed. Piemme), dopo aver descritto la nascita e l'evoluzione dei movimenti eugenetici, ero arrivato a parlare di come le nuove società eugenetiche nel Secondo Dopoguerra iniziarono a usare il catastrofismo per fare presa sulla popolazione.
A questo punto, va descritto il nesso tra femminismo ed eugenetica da una parte, ed ecologismo dall'altra. Padre fondatore e teorico di questa scienza è considerato Ernst Haeckel, discepolo di Darwin, sul quale razzismo non vi sono dubbi. Il suo modello ideale era infatti l'antica Sparta, in cui i bambini non sani erano soppressi, e auspicava attualizzando che ciò avvenisse anche nel presente. Il legame tra movimenti apparentemente così diversi dunque risiede nei concetti di miglioramento della razza e disponibilità delle risorse. Se infatti le risorse sono limitate, esse non possono sostenere un eccessivo aumento della popolazione, quindi è necessaria una selezione che permetta di riprodursi solo a chi lo merita.
Tuttavia, non vi fu una saldatura tra il movimento per il controllo delle nascite, il femminismo radicale e l'ecologismo fino agli anni '60, quanto un cammino parallelo. La situazione cambiò quando Hugh Moore, prima presidente della Association for Voluntary Sterilization e dopo segretario del Population Reference Bureau, convinse il presidente Lyndon Johnson della necessità di introdurre politiche per il controllo della popolazione, secondo lo slogan "Cinque dollari investiti nel controllo della popolazione ne valgono cento in crescita economica".
In seguito ebbe luogo la progressiva infiltrazione di questi obiettivi nei programmi di aiuto allo sviluppo promossi dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite, tramite l'ottenimento dello "statuto consultivo" da parte di alcune ONG, che permetteva loro di partecipare ai lavori dell'ONU. Il primo risale al 1965, all'ECOSOC, seguito dall'UNICEF, l'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), l'UNESCO, la FAO e soprattutto l'UNFPA (Fondo per la Popolazione) e l'OMS. E in effetti l'esito fu un cambiamento di indirizzo delle politiche di queste agenzie verso programmi di controllo della popolazione. Clamoroso il caso dell'UNICEF, che ha spostato i propri obiettivi dalla difesa dei bambini alla promozione di obiettivi femministi.
Fu poi dal 1970 che crebbe la presa sulla società civile, con la diffusione del pamphlet The population Bomb e l'invenzione del fortunato slogan: "La popolazione inquina". Da questo momento le principali organizzazioni ambientaliste americane, come Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action, fecero causa comune con il Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth, parlando lo stesso linguaggio. Se da un lato i secondi indicano "la crescita incontrollata della popolazione" come causa della "scomparsa delle foreste, l'erosione del suolo, la desertificazione, la scomparsa delle specie", dall'altro gli ambientalisti prevedono continuamente catastrofi la cui unica causa è individuata nella crescita della popolazione. E anzi, da ora le motivazioni della difesa dell'ambiente, che fanno maggiormente presa sull'opinione pubblica, prendono il sopravvento, cosicché l'annuncio di prossime catastrofi (sempre smentite dalla storia) diventa il principale metodo per motivare ogni decisione mirata a limitare le attività e la presenza dell'uomo.

29 aprile 2006

Eugenetica e Femminismo

Tratterò in questo terzo e nel prossimo post sul libro "Le Bugie degli Ambientalisti" (nei precedenti ho fatto un'introduzione e descritto l'organizzazione di Greenpeace) l'argomento a mio avviso più controverso, ovvero la ricostruzione delle radici del movimento ecologista. Se reputo non del tutto convincente questa parte, non è tanto per la mancanza di fonti e documenti citati, e neanche per l'accomunazione di elementi che mi sembravano del tutto differenti, come l'eugenetica, il femminismo e, appunto, l'ecologismo, quanto per le critiche al Darwinismo. Gli autori in realtà parlano più che altro del Darwinismo sociale, ma serpeggia una certa critica anche verso quella che è (non solo secondo me) una inoppugnabile teoria scientifica. Del resto la contesa tra Intelligent Design e la teoria di Darwin è attuale anche oggi. Ma vado per ordine.
Gli autori partono dalle teorie eugenetiche nate tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento ad opera di sostenitori delle teorie di Charles Darwin. Il primo di questi fu Francis Galton, il quale proponeva un'eugenetica "positiva", suggerendo di guidare la selezione del genere umano al fine di migliorare la razza. Egli teorizzava anche l'inferiorità genetica di altre razze, come i neri e gli indiani d'america. Fondò la Eugenics Society (poi divenuta Galton Institute), cui aderirono personalità come John Maynard Keynes, famoso economista. Leonard Darwin, figlio di Charles fece il passo successivo, all'eugenetica "negativa", teorizzando il divieto ai "deboli" di riprodursi e la separazione dei "sani" dagli "insani".
Queste tuttavia non erano idee isolate alla sola Gran Bretagna, ma trovavano riscontro in buona parte del mondo, e in particolare negli Stati Uniti, dove nel 1926 fu fondata la American Eugenics Society.
A essa apparteneva anche Margaret Sanger, la quale, secondo il Time (che l'ha inserita tra i cento leader e rivoluzionari più importanti del Novecento) diede vita al movimento per la liberazione della donna con la sua crociata per legalizzare il controllo delle nascite (locuzione coniata proprio da lei). Fondò la International Planned Parenthood Federation (IPPF, 1952), che oggi è la principale partner dell'UNFPA, il Fondo dell'ONU per la Popolazione. Il suo pensiero interpretava la preoccupazione comune all'élite che dominava la politica e l'economia americana e si sentiva minacciata dalla superiorità numerica delle classi svantaggiate. E infatti il movimento eugenetico era finanziato da banchieri e dalle fondazioni anglosassoni, primi su tutti Rockefeller e Ford.
Personaggio simile, l'inglese Marie Stopes fu fondatrice della prima clinica per il controllo delle nascite, scrivendo molti saggi su sesso e contraccezione, e presentandosi come paladina del femminismo. Anche lei era una convinta sostenitrice del movimento eugenetico, chiedendo l'applicazione della sterilizzazione forzata degli "insani". La Marie Stopes International è una delle più grandi promotrici dell'aborto nel mondo, e partner privilegiato del Comissario per lo Sviluppo della UE.
Si può ben capire a questo punto perché nessuno si preoccupò di fermare Hitler in un primo momento. Anzi, buona parte dell'Europa guardava con interesse alla Germania e ai suoi esperimenti genetici, alle sue idee sulla razza ariana, e ne è una dimostrazione la morbidezza con cui molti governi europei lo trattarono fino alla sua entrata in guerra. Chamberlain, per esempio, era membro della Eugenics Society, così come Pétain, primo ministro collaborazionista a Parigi, era membro della Società Eugenetica francese.
Dopo la sconfitta di Hitler, i movimenti eugenetici si trovarono nell'esigenza di mascherare gli imbarazzanti legami con le idee della Germania nazista, e si propose di adottare una politica cripto-eugenetica, ovvero di perseguire i veri obiettivi dietro scopi ben più accettabili. Si arrivò al concetto di "selezione volontaria inconsapevole" secondo cui si doveva ricorrere a metodi efficaci di pianificazione familiare, incidendo quindi sulle leggi, sul costume e sulle aspettative sociali in modo che gli individui scelgano "da soli" se avere o no figli.
Nel 1952 nacquero la già citata IPPF e il Population Council, entrambe finanziate dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Ford, e con forti legami con le Società Eugenetiche americana e britannica. Comune convinzione era che la pianificazione familiare sia un diritto umano fondamentale e che l'equilibrio tra la popolazione del mondo e le sue risorse naturali e la produttività sia una condizione necessaria per la felicità dell'uomo, per la prosperità e per la pace. Gli autori Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari notano come in questa formula vi siano le basi per concetti da qualche anno molto popolari come "sviluppo sostenibile" e "qualità della vita".
Queste società si dedicarono subito al finanziamento di borse di studio per la ricerca demografica e biomedica e della ricerca per lo sviluppo di metodi contraccettivi, nonchè allo sviluppo di aggressivi programmi per il controllo delle nascite, specie nei paesi in via di sviluppo come India, Indonesia, Thailandia, Iran e Nicaragua.
I fondatori e i sostenitori di queste due organizzazioni sono numerosi personaggi di primo piano delle società eugenetiche, come C.C. Little, William Shockley, Carlos Paton Blacker, Fairfield e Frederick Osborn, Guy Irving Burch, Detlew W. Bronk, Hugh Moore, Alan Guttmacher. Quindi, in definitiva, ci sono gli stessi soldi, gli stessi leader, le stesse attività, ma con un volto nuovo.
In questo periodo da queste persone nacque la strategia del catastrofismo, e a metà degli anni '50, in piena Guerra Fredda uscì The Population Bomb (nel 1968 Paul Elrich scrisse un libro con lo steso titolo, diventato la Bibbia degli antinatalisti), un libretto che faceva leva sulla paura del nucleare degli americani: La bomba demografica minaccia di provocare un'esplosione così distruttiva e pericolosa quanto quella di un'atomica, e con le stesse conseguenze in prospettiva per il progresso o per il disastro, per la guerra o per la pace.

15 aprile 2006

Le multinazionali dell'ambientalismo: Greenpeace

Nel primo post della serie sul libro "Le bugie degli ambientalisti" (qui trovate l'introduzione) vi parlo dell'organizzazione finanziaria di Greenpeace.
Esistono nel mondo circa quaranta uffici nazionali di Greenpeace, e varie organizzazioni di cui Greenpeace International, con sede ad Amsterdam, è la più grande. Nel 2000 il budget totale di tutte le organizzazioni Greenpeace è stato di 143 milioni di dollari (per maggiori informazioni leggere qui). Particolarmente interessante è l'organizzazione negli USA, in cui esistono due entità indipendenti: Greenpeace, Inc. e Greenpeace Fund, Inc., entrambe no-profit ma con diverse caratteristiche.
La legge statunitense prevede due tipi di no-profit, indicati come 501(c) (3) e 501(c) (4): nel primo caso i benefattori possono dedurre dalle tasse i contributi, ma essi sono utilizzabili solo per attività educative, caritative, religiose ecc., non per azioni legali o per partecipare a campagne a favore o contro candidati politici. Nel secondo caso i fondi provenienti dai contributi sono utilizzabili anche nei casi prima esclusi, ma i contributi non sono deducibili, quindi è più difficile reperire fondi. Greenpeace Fund, Inc. appartiene al tipo 501(c) (3), mentre Greenpeace, Inc. al 501(c) (4); dai bilanci del 2000, Greenpeace Fund, Inc. ha raccolto 9 milioni di dollari, passandone 4,5 a Greenpeace, Inc., 3,7 a Greenpeace International e il resto a organizzazioni Greenpeace di altre nazioni.
E' interessante osservare che Greenpeace, Inc. agisce quasi esclusivamente con campagne di pressione verso compagie o governi per modificare procedure o politiche. I suoi attivisti agiscono spesso contro le leggi vigenti, alcuni sono stati arrestati, ma qualcuno ha sostenuto per loro le spese legali. Essa è finanziata in modo significativo da Greenpeace Fund, Inc., che può raccogliere fondi deducibili. Nel 1999, su entrate per 14,2 milioni, il 30% veniva da Greenpeace Fund, Inc., il cui unico scopo sembra essere la raccolta di fondi da destinare ad altre Greenpeace e non svolge attività proprie.
Per fare un confronto, si può citare Greenpeace Foundation, Inc., che ha sede alle Hawaii. Essa è in aperto contrasto con le prime due e con Greenpeace International, che accusa di eccessiva spregiudicatezza nella raccolta di fondi, di antiamericanismo e di insufficiente devozione alla causa della difesa degli animali. E' un'organizzazione di tipo 501(c) (3) e non spende più di 25000 dollari all'anno.
Su "La Stampa" del 2 ottobre 1991 comparve un articolo che riprendeva alcune accuse mosse a Greenpeace dal settimanale tedesco "Der Spiegel", secondo il quale "Greenpeace è la più ricca organizzazione ecologista del mondo", ma in cui le decisioni sono prese da una ristretta cerchia che amministra i milioni di introiti in maniera poco chiara. In particolare, in Germania essa controlla una fitta rete di società controllate al 100% che permetterebbe a Greenpeace di mantenere il proprio status di organizzazione senza scopo di lucro e dunque di godere di esenzioni fiscali.
Esiste anche una casistica di dirigenti cacciati, per esempio il norvegese Bjorn Okern, che ha diretto per due anni Greenpeace Norvegia, ha scritto un libro (Potenza senza responsabilità) in cui definisce Greenpeace come un movimento "ecofascista più preoccupato dei soldi che dell'ambiente".
In Canada ha avuto luogo un lungo contenzioso tra Greenpeace e il governo, il quale nel 1999 ha negato all'organizzazione lo stato di "opera caritativa" che la multinazionale aveva chiesto per facilitare la raccolta di fondi. L'ufficio delle tasse ha dichiarato che "le attività di Greenpeace non hanno un beneficio pubblico", anzi le campagne condotte per mettere fine a diverse attività industriali potrebbero impoverire la gente. La storia parte dal 1989, quando Greenpeace perse lo stato di "opera caritativa". Per aggirare l'ostacolo fu fondato un altro gruppo che doveva fungere da "opera caritativa", ma la legge canadese non permette che questi tipi di opere funzionino come agenti per altri gruppi nella raccolta di fondi, per cui Greenpeace perse nuovamente lo status nel 1995, perdendo anche l'appello nel 1998. Fallì anche un ulteriore tentativo di aggirare la legge, con relativo appello, perché i suoi obiettivi e le sue campagne sono finalizzati al cambiamento dell'opinione pubblica e non alla difesa dell'ambiente.
Per finire, cito Patrick Moore (consiglio di visitare il suo sito), membro fondatore e direttore per 15 anni dell'organizzazione, secondo il quale "il movimento ambientalista si è trasformato nei fatti in un movimento protezionistico e antiscientifico [...]. Gli ambienti più radicali hanno finito per confondere e fuorviare l'opinione pubblica servendosi di sensazionalismo, disinformazione e contraffazione".