27 aprile 2007

Global Day for Darfur


In onore di Mstislav Rostropovich

Mi sembra doveroso onorare uno dei più grandi musicisti del Novecento in maniera adeguata. E sono contento di non essermi fatto sfuggire, un paio di anni fa, l'occasione di ascoltarlo dal vivo, ne valse davvero la pena.
Buon ascolto.

24 aprile 2007

Nora la pianista

Che classe, che tocco morbido e...felpato!



E' troppo carina!!! :)

23 aprile 2007

L'ultima volta ero bambino

Scusate, ma quando ci vuole, ci vuole! :)

22 aprile 2007

Giornata della Terra

Oggi si celebra l’Earth Day, la Giornata della Terra. Giunta alla sua 38esima edizione (la prima fu nel 1970), essa si propone come forte mezzo propagandistico a sostegno delle varie tesi ambientaliste sullo stato del pianeta, e in fin dei conti come ulteriore occasione per fare disinformazione.
Colgo quindi l’occasione per proseguire la serie di post ispirati dal libro Le Bugie degli Ambientalisti, iniziata circa un anno fa, parlando in generale del tema del riscaldamento globale e del ruolo dell’anidride carbonica. (Le altre puntate della serie sono qui, qui, qui e qui).

Già qualche settimana fa ho riportato in due post una pagina del sito Ecofantascienza, presente tra i link a fianco, in cui si esaminava il legame tra CO2 e temperatura del pianeta, giungendo a conclusioni ben diverse da quelle comunemente riportate. Non so chi tenga quel sito, ma i dati esposti sono facilmente reperibili in rete (ammesso che non si vada su siti ambientalisti) e mi risultavano anche da altre fonti; e di conseguenza lo ritengo affidabile anche nelle conclusioni.
Al contrario di ciò che si sente spesso dire (penso per esempio a un servizio delle Iene di 2-3 settimane fa, intervistando Mario Tozzi), le tematiche ambientali sono, in ambiente scientifico, oggetto di un acceso dibattito, come ho cercato di dimostrare nel precedente post, a proposito degli uragani.
Da un’intervista qui riportata a Riccardo Cascioli, uno dei due autori del libro prima citato, risulta che anche all’interno dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo dell’ONU preposto a studiare i cambiamenti climatici, vi siano molte voci critiche sull’ultimo rapporto stilato: molti scienziati ne sono usciti per vari disaccordi, e lo stesso Autore Principale, il dottor Trenberth, ha in parte ritrattato le conclusioni riportate nel sunto preliminare, presentato recentemente alla conferenza di Parigi.
Tempo fa il buon Wellington parlò di quei 60 scienziati canadesi che si opponevano alle tesi sul riscaldamento globale, e l’Oregon Institute of Science and Medicine ha promosso a riguardo un manifesto sottoscritto da circa 19000 scienziati americani (17000 secondo la pagina che ho linkato da Ecofantascienza, ma la sostanza non cambia). Vorrei quindi che fosse chiaro che il dibattito è tutt’altro che chiuso.

Detto questo, ci si può chiedere: quali effetti ha un aumento della CO2 nell’atmosfera, se come detto non è la principale causa dell’effetto serra?
Può innanzitutto essere utile sapere che la comparsa dei vegetali sul pianeta e il loro sviluppo sono coincisi con un periodo in cui la concentrazione di CO2 era pari a 6000 ppm (parti per milione), ovvero circa venti volte i valori attuali. Al contrario, ci sono piante che, con concentrazioni inferiori a 100 ppm, muoiono: è come se a un uomo si togliesse l’ossigeno.
Esistono inoltre vari studi sull’effetto di una maggiore concentrazione di CO2 sui vegetali; per esempio il professor Sherwood Idso, del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, ha osservato che con un incremento da 350 a 650 ppm di CO2 il tasso medio di crescita di 475 varietà di piante è aumentato di oltre il 50%, mentre aumentando la concentrazione a 2250 ppm la produttività è aumentata del 165% (pubblicato da The European Science and Environment Forum, 1996). Inoltre, si è osservato che in questa maniera aumentava anche l’efficienza delle piante nell’utilizzo dell’acqua, elemento che favorirebbe la coltivazione anche in zone affette da scarsità di piogge.
Del resto, la maggiore presenza di anidride carbonica nell’atmosfera può essere una delle cause dell’aumento delle foreste degli ultimi 50 anni. Sì, avete capito bene! Ma di questo parlerò in un altro post, in futuro.

Aggiungo un’ultima cosa sul tanto santificato Protocollo di Kyoto. Ricordando il calcolo di quanto la CO2 influenzi la temperatura globale, e tenendo conto delle riduzioni di emissioni che il Protocollo si prefigge, una sua perfetta attuazione permetterebbe una riduzione della temperatura di pochi centesimi di grado!!!
Il costo? Secondo stime dell’IPCC, che di certo non ha alcun interesse a denigrare il Protocollo, potrebbe essere di 18 quadrilioni (18.000.000.000.000.000 in cifre, 1.8*10^16 in notazione scientifica) di dollari (Alyster Doyle, Reuters, 27 ottobre 2003). Tradotto in percentuali, significa una quantità tra l’1% e il 4.5% del PIL mondiale fino al 2050. Simili cifre significano che, per raggiungere un risultato così esiguo, si spenderanno quantità inimmaginabili di risorse economiche, a tutto scapito dello sviluppo e quindi del progresso necessario a migliorare realmente la qualità della vita (si pensi a macchine più efficienti, auto meno inquinanti ecc.), per non parlare della mancata occupazione.
Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, la direttrice dell’International Council for Capital Formation, Margo Thorning ha calcolato che “l’applicazione del Protocollo di Kyoto potrebbe costare all’Italia una riduzione del PIL fino al 3% nel 2025, con una perdita di 280.000 posti di lavoro” (Avvenire, 2 dicembre 2003).

19 aprile 2007

Ipotesi sugli uragani nell'Atlantico

Da quando Katrina ha distrutto mezza New Orleans, si è fatto un gran parlare dell'aumento degli uragani negli ultimi anni, anche se in realtà questo fenomeno sembra circoscritto al solo oceano Atlantico. A tal proposito, mi sembra utile sottolineare due pubblicazioni dell'Università del Wisconsin sull'argomento, giusto per cercare di dare un'idea del livello attuale del dibattito in corso nella comunità scientifica, il quale è ben lontano dalle granitiche certezze che gli ambientalisti e la maggior parte dei mezzi di informazione (e recentemente anche Hollywood) sembrano volerci imporre.
La prima supporta l'ipotesi del collegamento tra riscaldamento globale e aumento dell'intensità degli uragani. Tuttavia, come si ammette nello studio, questa relazione pare verificarsi solo nell'Atlantico, e non negli altri oceani. Dunque si renderà necessario spiegare con nuovi studi il motivo per cui si abbia questa diversa reazione in diversi oceani. Mi sembra ovvio che se la relazione fosse diretta non si dovrebbe osservare una disparità di questo tipo: se il riscaldamento è globale, che senso ha che abbia influenze solo localmente?
Per rispondere o per lo meno dare un'idea di altri possibili fattori coinvolti, può venire in aiuto la seconda pubblicazione di cui parlo, in cui si evidenzia una correlazione tra uragani atlantici e la presenza in atmosfera di polveri provenienti dal Sahara (ritratte nella foto da satellite qui riportata): una maggiore presenza di queste ultime inibirebbe la formazione di cicloni, e vice versa. La cosa, per gli scienziati, ha senso perché la presenza di polveri secche in strati d'atmosfera affievolirebbe il processo di formazione degli uragani, che necessita di calore e umidità.

Naturalmente il dibattito è aperto, e c'è ancora molto da fare prima di capire bene quali siano tutti i fattori in gioco. Chiudo quindi con una raccomandazione: diffidate di chi cerca di vendere certezze, specialmente in un campo difficile e in fase di sviluppo come lo studio dei fenomeni climatici. Chi lo fa è poco competente e onesto, se non in malafede.

18 aprile 2007

Storie di famiglia

Vi rendo nota una notizia che, per un appassionato di Tolkien come me, non può passare inosservata. Esce infatti in questi giorni in Gran Bretagna (e il 17 settembre in Italia) l'ultimo romanzo di Tolkien, intitolato "The Children of Hùrin". A pubblicarlo è Christopher, figlio del più noto padre, che si è basato sulle bozze lasciate da John Ronald Reuel per completare la storia. In realtà già esistono, nel "Silmarillion" in forma più breve e intitolato Tùrin Turambar, e nei "Racconti Incompiuti" in forma più estesa, altre versioni del racconto, che Tolkien stesso dice essere parte di un Lai più lungo, noto come "Narn I Hin Hùrin", cioè appunto "Racconto dei figli di Hùrin". C'è da dire che Tùrin Turambar è una delle storie più belle e drammatiche del Silmarillion, quindi il libro dovrebbe essere molto bello. Vedremo.

Per di più Hùrin è anche mio procugino... ;)

15 aprile 2007

Ararat - Storia di un olocausto

E' stato particolarmente difficile per me trovare il modo di mettere su foglio bianco (seppur elettronico) gli spunti necessari per la realizzazione di questo post e la causa è il fortissimo impatto emotivo che la pellicola, oggetto di riflessione, suscita inevitabilmente nello spettatore.
L'input per la scrittura è giunto con l'uscita dell'ultimo lavoro dei fratelli Taviani "La masseria delle allodole" che ha come sfondo storico il genocidio del popolo armeno da parte degli Ottomani avvenuto nel 1915. Inevitabile per gli appasionati cinefili è il richiamo a un capolavoro della cinematografia canadese del 2002, Ararat, che ha come tema assoluto la medesima crudele vicenda umana e storica a seguito della quale hanno trovato la morte, si suppone, almeno un milione e mezzo di Armeni.
Passando attraverso le storie personali di una catena di personaggi le cui vite intrecciate rivelano parentele più o meno lontane con l'olocausto, il regista di origini armene Atom Egoyan (anche ideatore e sceneggiatore della pellicola) confeziona quest'opera di testimonianza accorata e di inequivocabile denuncia del tentativo di insabbiamento, ancora in corso da parte del popolo turco, riguardo gli atroci fatti accaduti in quella che fu l'antica Anatolia (Turchia orientale), lì dove già nel 451 (ci viene ricordato nel film) il glorioso popolo armeno aveva cacciato i Persiani, affondando saldamente le loro ancore nella storia.
"Ararat" è basato interamente e fedelmente sul libro-diario di Clarence Ussher "An American Physician in Turkey" ("Un medico americano in Turchia") pubblicato a Boston e New York nel 1917 e "tutti gli eventi in esso rappresentati"- precisa il regista - "sono stati verificati attraverso studiosi dell'olocausto, archivi nazionali, racconti di testimoni oculari tra i quali lo stesso Ussher".

La tecnica che Egoyan utilizza è quella del "film nel film", espediente con il quale trasforma la narrazione, che via via si fa sempre più cruda e violenta senza tuttavia svestirsi di un'aura fortemente poetica, in un set cinematografico attorno al quale orbitano i personaggi di questa storia che osservano con crescente tensione e coinvolgimento (climax: l'attore che interpreta Ussher, nelle scene finali del film, mescola spontaneamente mondo reale e realtà cinematografica come se fosse il vero medico) lo svolgersi delle riprese come se stessero realmente assistendo per la prima volta o rivivendo nei loro ricordi la genesi del massacro del loro popolo e la conseguente diaspora che, in qualche modo, ha portato tutti loro, come fosse volontà divina, a trovarsi lì in quel preciso istante.
E' sempre grazie a questa tecnica che il regista rende genialmente anche se stesso protagonista dell'opera e si ritaglia uno spazio importante per poter esprimersi senza dover delegare necessariamente alle battute dei protagonisti la forte carica emotiva delle sue idee.

La triade dei personaggi presentati nell'incipit costituisce la base di lancio indispensabile affinché, dal personale, sia possibile pian piano risalire a ritroso il ramo della storia nazionale e, attraverso la corteccia indurita della libertà violata di una genia, giungere alle radici comuni che rendono i superstiti e le loro successive generazioni indissolubilmente uniti.

Ani è una studiosa di Storia dell'Arte, suo figlio Raffi è un ragazzo che trova lavoro come autista sul set del film di cui la madre è consulente storica (o, come lei stessa si definisce nel film, "fornitrice di un alibi culturale per le vostre licenze poetiche") e Celia è la sua sorellastra, figlia del secondo marito di Ani, e sua compagna, tormentata dall'ossesione che la matrigna sia la causa della morte di suo padre.
Anche Raffi ha perduto il padre, ucciso mentre tentava di assassinare un diplomatico turco. Il tormento che accomuna i due ragazzi nel voler attribuire un significato alla morte dei genitori e la loro conseguente fragilità è ciò che li legherà nel corso della storia.

Il film per cui lavorano Raffi e Ani dovrà raccontare il genocidio attraverso gli occhi dell'allora ragazzo Arshile Gorky (pittore contemporaneo nato a Khorkom, presso Van, nel 1904 e morto suicida a Sherman, Connecticut, nel 1948) e del medico americano Clarence Ussher che si trova in missione nel villaggio armeno di Van proprio nel periodo in cui i Turchi ne hanno circondato i confini. Consapevole di ciò che sarebbe accaduto, Ussher affida una lettera-appello al mondo cristiano nelle mani di due bambini, di cui uno è proprio Gorky.
Caduti nelle mani dei turchi, i ragazzi subiscono la violenza degli oppressori e Gorky, in particolare, assiste impotente alle vessazioni che rimarranno per sempre scolpite nella sua mente e che sublimeranno nel celebre ritratto del 1912 "The Artist and His Mother" (conservato al Whitney Museum, NY), il quale ricopre a tutti gli effetti un ruolo da co-protagonista nella pellicola.

E' infatti estramamente curioso il modo in cui nel film si mescolino episodi di vita dei potagonisti, scene del genocidio (che nel film stesso rappresentano la finzione cinematografica) e visioni dell'artista Gorky, ormai maturo, nel suo studio mentre dipinge il ritratto a partire da una foto scattata prima del massacro, che avrebbe dovuto essere spedita al padre lontano al fine di rassicuralo circa la loro incolumità in quei tempi di terrore.
Il dipinto, come ci spiega la stessa Ani, non è una banale trasposizione della foto, bensì un modo che l'artista ha escogitato per "....risparmiare alla madre l'oltraggio dell'oblio. L'ha sottratta a un cumulo di cadaveri senza volto nè nome, per collocarla sul piedistallo dell'immortalità".
Ani commenta ancora il mazzolino di fiori che nell'opera l'artista stringe nella mano destra davanti a sè e che "simbolicamente" rappresenterebbe un dono al padre. Subito la scena della conferenza di Ani è staccata da quella in cui Gorky è nuovamente nel suo studio. Il suo sguardo si posa su un bottone, appeso alla foto, che l'artista ricorda di aver perduto poco prima che lui e la madre si mettessero in posa e motivo per il quale ella gli aveva suggerito al figlio di portare la sua mano davanti al busto affinché potesse coprire quel difetto. Il significato simbolico cede dunque il posto a un ricordo tenero e fanciullesco.

Memorabile e assolutamente struggente è il dialogo tra Raffi e il regista del film Saroyan (alter ego di Egoyan). Il regista ha appena avuto un incontro con Ali, l'attore di origini turche che nel suo lavoro interpreta l'effendi (essenzialmente un funzionario governativo turco). Quest'ultimo ha cercato in qualche modo di proporre al regista la sua visione degli eventi fornendo un'ottica alternativa a quella del genocidio, suggerendo che in fondo il popolo turco aveva motivo di sentirsi minacciato da quello armeno per via della pressione della Russia sui loro confini orientali e accennando a una preesistente conflittualità tra i due popoli.

Saroyan, la cui madre era una superstite dell'olcausto, non accenna la minima reazione alle parole di Ali e questo per Raffi, che da lontano ha assistito alla scena (questa volta è la scena del "nostro" film), è motivo di indignazione tanto da spingerlo a chiedere al regista spiegazioni in merito.
Saroyan seraficamente gli (ci) spiega: "Qual è la causa ancora oggi di tutto questo dolore? Non è la perdità delle persone care, nè della propria Terra, ma è la consapevolezza di poter essere odiati così tanto. Che razza di umanità è che ci odia fino a questo punto? E con quale coraggio insiste nel negare il suo odio finendo così per farci ancora più male?"

Raffi, nel suo percorso, cercando disperatamente qualcosa che gli dia la possibilità di non dimenticare, si riconcilia con la memoria del padre, il quale aveva sacrificato il suo ruolo genitoriale e di marito per assumere quello di martire per un ideale che solo ora il protagonista può comprendere.

La figura di Saroyan si presenta nel film allo stesso modo con il quale si congeda, assieme a un melograno. Questo frutto ha per il regista un profondo significato. Quando i soldati prelevarono sua madre, ella ne colse uno dal giardino e ogni giorno, durante la deportazione, ne magiava un seme fingendo che fosse un lauto banchetto. Il melograno è dunque per lui simbolo di fortuna ma anche della forza dell'immaginazione che ha reso possibile il suo lavoro.
Compiendo un passo indietro, il film si chiude con la dolcissima immagine della madre di Gorky che, canticchiando una folkloristica litania, cuce spensierata il bottone del suo paltò. E in quella serenità domestica noi spettatori viviamo pesantemente il contrasto emotivo dell'inelutabilità di ciò che sta per accadere e possiamo tentare di dare un significato a quelle mani della madre "incompiute" nel ritratto di Gorky (al quale l'artista lavorò ben dieci anni).
L'incompiutezza è voluta, anzi, probabilmente ricercata cancellando le mani precedentemente già dipinte, quasi a sottolineare l'oltraggio subito e la violazione dell'identità umana attraverso questa "mutilazione".
Buona visione.

13 aprile 2007

Incredible machine

Un video fantastico, indicatomi di recente da un amico.
Solo dei giapponesi potevano concepire una cosa così malata...

11 aprile 2007

Google Earth per "spiare" il Darfur

Ecco un interessante esempio di come la tecnologia possa essere utile alla causa dei diritti umani. Da questa notizia sul sito della Reuters si apprende di un progetto dell' Holocaust Memorial Museum di Washington per la mappatura della regione del Darfur, da effettuare con il noto software di Google. Lo scopo è mettere in evidenza le atrocità compiute in quella regione, per fare in modo che risulti più difficile alla comunità internazionale ignorare coloro che hanno bisogno di un urgente aiuto.

04 aprile 2007

Castronerie

Passato il periodo in cui Gianni Minà e compagnia (Pago Pena, Cumpai Segundo, ecc. ;-) ) dovevano quasi essere in lutto per la possibile dipartita del leader cubano, si è assistito a un ritorno nelle cronache da parte di quest'ultimo, autore negli ultimi giorni di due articoli in cui critica duramente, tanto per cambiare, Bush.
Nel primo di essi egli accusa il presidente degli USA di "condannare a morte 3 miliardi e mezzo di persone" con l'intenzione di utilizzare l'etanolo prodotto a partire dai cereali per ridurre la dipendenza dal petrolio. Quindi, se da una parte dobbiamo sentire gli ambientalisti criticare Bush perché non ha voluto firmare il protocollo di Kyoto, dall'altra si deve sentire un Castro criticare una misura volta a ridurre la dipendenza degli USA dall'oro nero, con conseguente riduzione dell'inquinamento. Della serie: come la fai e la fai, se ti chiami Bush devi essere criticato a prescindere. In tutto ciò, il titolo dell'articolo del Corriere è: "Castro ambientalista", quando condanna un tentativo di ridurre l'uso del petrolio...mah!
Il secondo articolo si pone sulla scia del primo e rincara la dose, arrivando a teorizzare che questa misura, vale a dire la produzione di etanolo, possa significare "l'internazionalizzazione del genocidio"... arimah!