06 maggio 2006

Le radici dell'ecologismo e il raggiungimento della popolarità

Nel precedente post sul libro "Le Bugie degli Ambientalisti" (di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari, ed. Piemme), dopo aver descritto la nascita e l'evoluzione dei movimenti eugenetici, ero arrivato a parlare di come le nuove società eugenetiche nel Secondo Dopoguerra iniziarono a usare il catastrofismo per fare presa sulla popolazione.
A questo punto, va descritto il nesso tra femminismo ed eugenetica da una parte, ed ecologismo dall'altra. Padre fondatore e teorico di questa scienza è considerato Ernst Haeckel, discepolo di Darwin, sul quale razzismo non vi sono dubbi. Il suo modello ideale era infatti l'antica Sparta, in cui i bambini non sani erano soppressi, e auspicava attualizzando che ciò avvenisse anche nel presente. Il legame tra movimenti apparentemente così diversi dunque risiede nei concetti di miglioramento della razza e disponibilità delle risorse. Se infatti le risorse sono limitate, esse non possono sostenere un eccessivo aumento della popolazione, quindi è necessaria una selezione che permetta di riprodursi solo a chi lo merita.
Tuttavia, non vi fu una saldatura tra il movimento per il controllo delle nascite, il femminismo radicale e l'ecologismo fino agli anni '60, quanto un cammino parallelo. La situazione cambiò quando Hugh Moore, prima presidente della Association for Voluntary Sterilization e dopo segretario del Population Reference Bureau, convinse il presidente Lyndon Johnson della necessità di introdurre politiche per il controllo della popolazione, secondo lo slogan "Cinque dollari investiti nel controllo della popolazione ne valgono cento in crescita economica".
In seguito ebbe luogo la progressiva infiltrazione di questi obiettivi nei programmi di aiuto allo sviluppo promossi dagli Stati Uniti e dalle Nazioni Unite, tramite l'ottenimento dello "statuto consultivo" da parte di alcune ONG, che permetteva loro di partecipare ai lavori dell'ONU. Il primo risale al 1965, all'ECOSOC, seguito dall'UNICEF, l'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), l'UNESCO, la FAO e soprattutto l'UNFPA (Fondo per la Popolazione) e l'OMS. E in effetti l'esito fu un cambiamento di indirizzo delle politiche di queste agenzie verso programmi di controllo della popolazione. Clamoroso il caso dell'UNICEF, che ha spostato i propri obiettivi dalla difesa dei bambini alla promozione di obiettivi femministi.
Fu poi dal 1970 che crebbe la presa sulla società civile, con la diffusione del pamphlet The population Bomb e l'invenzione del fortunato slogan: "La popolazione inquina". Da questo momento le principali organizzazioni ambientaliste americane, come Sierra Club, National Wildlife Federation, Worldwatch Institute, Natural Resources Defense Council, Environmental Action, fecero causa comune con il Population Crisis Committee, Population Reference Bureau, Planned Parenthood, Zero Population Growth, parlando lo stesso linguaggio. Se da un lato i secondi indicano "la crescita incontrollata della popolazione" come causa della "scomparsa delle foreste, l'erosione del suolo, la desertificazione, la scomparsa delle specie", dall'altro gli ambientalisti prevedono continuamente catastrofi la cui unica causa è individuata nella crescita della popolazione. E anzi, da ora le motivazioni della difesa dell'ambiente, che fanno maggiormente presa sull'opinione pubblica, prendono il sopravvento, cosicché l'annuncio di prossime catastrofi (sempre smentite dalla storia) diventa il principale metodo per motivare ogni decisione mirata a limitare le attività e la presenza dell'uomo.

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