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14 aprile 2008

J.K. Rowling e altri autori chiedono un intervento immediato in Darfur

L'autrice della saga di Harry Potter, J.K. Rowling, insieme ad altri autori di libri per ragazzi come Judy Blume, R.L. Stine, Cornelia Funke e Louis Sachar, hanno pubblicato ieri una lettera aperta domandando "che il mondo si svegli davanti all'attacco ai bambini che sta avvendendo in Darfur".

La lettera è stata pubblicata alla vigilia della Giornata Mondiale per il Darfur, che commemora il quinto anniversario del conflitto, ed è stata firmata da 14 autori per ragazzi del Nord America, Africa, Europa e Medio Oriente, i quali esigono un'azione da parte della comunità internazionale. La lettera recita:

"Bambini che appena hanno l'età per camminare, senza parlare di correre, hanno visto le loro case bruciare, le loro madri violentate e i loro padri assassinati. La maggior parte sono raggruppati in campi di rifugio, traumatizzati ed esausti... E' tempo di cambiare la storia. In aprile molti bambini del Darfur staranno celebrando il loro quinto compleanno senza aver mai conosciuto la pace. Il mondo deve risvegliarsi. Per molto tempo ha lasciato questi bambini soffrire. I nostri politici devono agire in Darfur... I bambini del Darfur non hanno chiesto questa guerra, ma passano i loro giorni intrappolati nel conflitto, tra entrambi i fuochi. Bisogna permettergli di essere dei bambini, ancora. Nonostante il terrore che affrontano quotidianamente, c'è ancora speranza e sogni. Il mondo deve agire ora per dare ai bambini del Darfur un futuro."

La lettera richiama un'immediata interruzione delle ostilità, un dispiego totale delle forze per la pace dell'ONU, che possa bloccare questa inutile guerra che sparge solo sangue innocente. Se possiedi un sito, un blog o un forum, partecipa come noi a Italian Blogs for Darfur, e firma l'appello on-line. Non rimanere indifferente a questa tragedia!

Da GiratempoWeb.

16 ottobre 2007

Nairobi chiama, Roma.. non sente

Da ItaBlogs4Darfur:

Tanto valgono i 300.000 morti del Darfur: nei telegiornali italiani, nel 2006, è stata dedicata poco più di un'ora al conflitto in Darfur, regione del Sudan dove si consumano efferati crimini contro l'umanità e dove lo stupro è usato come terribile arma da guerra.
Non abbiamo notizie neanche dallo Zimbabwe, dal Congo, dal Delta del Niger, dalla Somalia, solo per citare altre aree dell'Africa in cui i diritti umani valgono meno di un fucile.
Ammettiamolo, si sa da sempre che in Africa si muore e si soffre; quale sarebbe la notizia, quale l'interesse per il pubblico?
Noi non ci rassegniamo al mercato dell'audience: se c'è un compito al quale la televisione non può sottrarsi, soprattutto il servizio pubblico televisivo, dall'indubbia penetrazione di massa, è l'educazione dei singoli ai valori fondanti della società e della democrazia.

Il servizio pubblico televisivo sembrava aver fatto un primo importante passo in avanti con l'apertura di una sede RAI a Nairobi, Kenya, il 18 maggio 2007, con grande soddisfazione delle agenzie missionarie e delle associazioni della Tavola della Pace.
Ma l'operazione, a un semestre di distanza, assume sempre più il gusto amaro del "lavaggio di coscienza" da parte della sede di viale Mazzini, nonostante l'impegno del giornalista Enzo Nucci, a cui è stata affidata la direzione della sede africana.
Dall'apertura della sede, sono stati trasmessi solo un'ora di servizi dall'Africa. Il bel reportage di Nucci sui Monti Nuba, Sudan, La scuola della speranza, della durata di 18 minuti, è stato trasmesso a Raitre, nella rubrica Primo Piano, alle ore 23.20.
"Nel gennaio scorso, proprio a Nairobi, - si legge in Panorama, [segnalazione di Antonio] - si è svolto il primo Forum sociale mondiale in Africa. Nonostante le tematiche caldissime affrontate dagli oltre 10mila partecipanti della grande kermesse no global (si va dalla lotta all’Aids alla sfida commerciale decisiva rappresentata dai nuovi accordi partenariato economico tra l’Unione Europea e i paesi africani), la Rai ha mandato in onda appena due minuti di servizio sul Tg3 per un evento durato un’intera settimana".

Continua il nostro impegno per una migliore qualità dell'informazione televisiva italiana: chiediamo più informazione sul Darfur e sulle crisi umanitarie dimenticate.
Firmate il nostro appello.


In aggiunta, ecco un video realizzato da Antonella Napoli, membro di ItaBlogs4Darfur.

10 settembre 2007

Giornata mondiale per il Darfur

Immagina. Anche se non sarà mai come averlo vissuto.


Immagina.
Nel deserto, la notte, ti svegliano: attaccano il tuo villaggio. Lì hai lasciato i tuoi figli, tua moglie, la tua storia. Bruciano la tua casa. Stuprano tua moglie. Armano tuo figlio. Cancellano la tua storia.


Sparano.
Non bastano le urla terrorizzate dei bambini, l’odore acre di feci e urine liberate dalla paura e del sangue che impasta la terra, il rumore – tanto rumore- di passi, spari, crolli, legna e carne che brucia, niente ferma la mano dei boia.


Corri.
Ti rendi subito conto –forse è solo istinto – che le parole hanno un senso solo se ascoltate.
Allora imbracci il bastone, come fosse un fucile. Corri, con la speranza di poter ancora salvare tua moglie, tuo figlio, non importa la storia. E preghi.
Ma sei lontano, stringi il tuo bastone.
I janjaweed corrono già verso un altro villaggio.



Saremo a Roma, il 16 Settembre in Piazza Farnese, per dire "fermiamo il sangue in Darfur"!
ore 10: Marcia dei rifugiati. Presenti Monica Guerritore, Toni Capuozzo, Tiziana Ferrario
ore 11: mostra fotografica, interventi di associazioni, ospite Presidente Commissione Esteri del Parlamento U. Ranieri
0re 13: concerto dei Marcosbanda (jazz funk rock), vincitori premio "Voci per la Libertà" 2007


All’iniziativa, promossa da Italians for Darfur, hanno aderito il Comune di Roma, l’associazione Articolo21, la sezione italiana di Amnesty International, Nessuno tocchi Caino, la Comunità Ebraica, l’Ugei e l’associazione “Voci per la libertà”.



Da Italian Blogs for Darfur.

30 giugno 2007

Solo il cessate il fuoco immediato puo' favorire il dialogo in Darfur

Il 14 giugno scorso, Italians for Darfur, insieme alle maggiori organizzazioni europee per il Darfur, ha scritto al Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, per esortarlo a intraprendere una linea politica più incisiva sulla crisi del Darfur, usando le sanzioni come principale ed efficace formula di pressione sul governo sudanese.

La missione congiunta ONU-UA, la cui legittimazione da parte di Karthoum è stata ottenuta proprio grazie alla minaccia di nuove sanzioni da parte degli Stati Uniti, partirà in realtà solo dal 2008 e non ha nessun impatto immediato sulla situazione dei civili e degli operatori umanitari in Darfur, che si fa di giorno in giorno più pericolosa. Le più grandi ONG presenti sul campo hanno denunciato, anche alla audizione alla Camera tenutasi a Roma grazie a Italians for Darfur, che "oggi è molto peggio di quanto fosse nel 2004".

Il deteriorarsi delle condizioni non facilita di certo lo sviluppo di un processo di pace, che è l'unica soluzione possibile per garantire l'accesso dei civili agli aiuti umanitari e l'equa distribuzione delle risorse.Come si può pretendere che le fazioni ribelli abbiano una anche minima possibilità di decidere una comune posizione, se i loro leader non possono riunirsi senza che, nel frattempo, le loro basi e i loro villaggi vengano bombardati? Anche nella sua ultima riunione di giugno, il Consiglio dell'Unione Europea ha condannato i nuovi e ripetuti bombardamenti di civili da parte dell'aviazione sudanese e ha esortato i ribelli a costruire una comune linea politica, ma non ha fatto nessun riferimento al problema che proprio questi attacchi indiscriminati costituiscono il principale ostacolo al dialogo. Un'altra condizione fondamentale perche' non si ripeta il fallimento dell'accordo di pace di Abuja del maggio 2006 è che al futuro -auspicato- tavolo della pace vengano rappresentate tutte le componenti della società civile del Darfur e che la comunità internazionale vigili compatta, senza riserve, sul rispetto del cessate il fuoco.

L' Italia-non ci stancheremo mai di ricordarlo- mai come quest'anno potrebbe svolgere un ruolo di primo ordine nel Consiglio per i Diritti Umani e nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU, essendo a capo tra l'altro della commissione per le sanzioni al Sudan, e in seno all'Unione Europea, facendosi promotrice di pace in Darfur.

Italians for Darfur e' convinta che la responsabilita' di tale ruolo sara' difficilmente assunta finche' non saranno gli stessi cittadini italiani a pretenderlo. Rinnoviamo quindi l' appello on-line di Italian Blogs for Darfur ai mass media italiani, perche' non nascondano piu' al nostro Paese il dramma di 2milioni di persone in fuga e la morte di 400.000 civili e garantiscano una corretta e piu' ampia informazione sul Darfur e sulle altre crisi umanitarie troppo spesso dimenticate.


07 giugno 2007

Occhi sul Darfur

Riporto una mail ricevuta da un membro della mailing list di Italian Blogs for Darfur:


Appello per monitoraggio online della violenza in Darfur
di Anna Masera

Ieri sera nella conferenza globale in webcast contro la censura su Internet che rischia di trasformarla in qualcosa di molto diverso dalla sua forma originaria. Su www.amnesty.org Irene Khan, segretaria generale di Amnesty, ha dichiarato: "Nell'era della tecnologia, Internet è diventato la nuova frontiera nella lotta per i diritti dei dissidenti. Con l'aiuto di alcune tra le più grandi compagnie mondiali, alcuni governi come quello della Bielorussia, della Cina, dell'Egitto, dell'Iran, dell'Arabia Saudita e della Tunisia monitorano le chat room, chiudono i blog, pongono dei limiti nella ricerca sul web e bloccano siti. Persone sono state imprigionate in Cina, Egitto, Siria Uzbekistan e Vietnam per aver postato e condiviso informazioni online. Ogni persona ha il diritto di inviare e ricevere informazioni ed esprimere la propria opinione senza paura o interferenze".
Nel suo rapporto 2007 Amnesty International ha reso noto di aver iniziato a monitorare, inserendole su Internet, le immagini raccolte dal satellite su villaggi del Sudan devastati dalle violenze nella regione del Darfur, per far pressione su Khartoum affinchè consenta di inviare nella regione truppe di pace dell'Onu.
L'appello invita a registrarsi all'indirizzo www.eyesondarfur.org, che verrà aggiornato regolarmente con nuove immagini, per aiutarli a tenere sotto controllo 12 villaggi in posizioni delicate e informare Khartoum che queste zone sono strettamente monitorate per registrare ogni segnale di violenza. Oltre 200.000 persone sono morte e due milioni hanno abbandonato le proprie case da quando è iniziato nel 2003 il conflitto nel Sudan occidentale tra le etnie africane che si ribellano al governo, sostenuto dalla milizia araba Janjaweed. Khartoum afferma che i morti sono stati 9.000 e rigetta le accuse di genocidio.
Il Consiglio di Sicurezza Onu lo scorso anno ha adottato una risoluzione per dispiegare truppe di 23.000 uomini fortemente "ibride" Onu-Unione Africana. Ma il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir ha definito eccessivo il numero di questo dispiegamento. Ed ha accettato solo l'impiego di 3.000 uomini della forza di polizia Onu e personale militare in aiuto ad una forza dell'Unione Africana di circa 7.000 uomini. Tuttavia il piano finale sulla forza ibrida non ha ancora raggiunto Khartoum per via delle divergenze tra Onu e Ua sul controllo delle operazioni.
Amnesty dice che le immagini via satellite possono arrivare a mostrare oggetti di 60 centimetri, cosa che permetterebbe di individuare capanne distrutte, raggruppamenti di soldati o profughi in fuga. "Ci aspettiamo che il governo sudanese protegga questi e gli altri villaggi in tutto il Darfur. Ci aspettiamo che restino intatti oggi, domani e molto più in là nel futuro", ha dichiarato Ariela Blatter, direttore del Centro Prevenzione e Intervento Crisi della sezione Usa di Amnesty, che ha diretto il progetto di monitoraggio, chiamato Eyes on Darfur (occhi sul Darfur).

31 maggio 2007

Legami tra Italia e Sudan

Segnalo un articolo non recente, ma che spiega alcuni risvolti interessanti della situazione del Sudan.

Petrolio e politiche di guerra
La lunga storia di guerra sudanese sembra non doversi ancora concludere, nonostante l’incoraggiante pace siglata il 26 maggio 2003 tra governo e ribelli del Sudan people's liberation movement / Army (Splm/A) - protagonisti di ventun anni di conflitto nel sud - e il protrarsi del cessate il fuoco.

Dal febbraio 2003 nel Darfur altri due gruppi ribelli - l’Esercito/movimento di liberazione del Sudan (Sla/m) e il movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem) - combattono contro Khartoum, accusato d’averli estromessi dalle trattative di pace e di sostenere le milizie arabe janjaweed, responsabili di violenze contro la popolazione nera in Darfur.
Punto focale delle trattative la spartizione dei proventi petroliferi dei giacimenti del Sud Sudan.

"Mentre nel Darfur infuriano le violenze, c’è chi con il regime al potere in Sudan fa buoni affari in campi come il petrolio, le armi, le tecnologie sensibili: dalla Cina alla Malaysia, dall’Iran alla Russia, dal Canada alla Gran Bretagna. E, non per ultima, all’Italia, che risulta il terzo cliente della produzione petrolifera sudanese". Così Francesco Terreri, collaboratore di Nigrizia, in un’analisi pubblicata da Microfinanza, in cui evidenzia i principali interessi economici internazionali che ruotano attorno al paese africano. Con lui abbiamo cercato di approfondire ulteriormente questi temi.

La storia del Sudan come produttore di petrolio è una storia piuttosto recente e, fino a pochi anni fa, legata all’Italia…

L'Italia, con l’Eni, fu tra i primi paesi ad effettuare ricerche nel paese, negli anni ’50. Si trovarono i primi giacimenti, che però non riuscivano neanche a soddisfare il mercato interno. Il Sudan appare come paese esportatore solo dal 1999, anno del decollo della produzione grazie allo sfruttamento del più importante bacino estrattivo, quello di El Muglad, 800 km a sud-ovest di Khartoum.

Nasce la prima aggregazione di interessi in mano al consorzio cinese-malaysiano Greater Nile Petroleum Operating Company (Gnpoc), che detiene complessivamente il 70% del capitale. La compagnia statunitense Chevron, così come l’italiana Eni, abbandona, lasciando spazio ad una società privata canadese, la Talisman Energy - che subentra con il 25% -, mentre il restante 5% è della Sudapet, in mano al governo.

Secondo un rapporto diffuso dal ministero dell’Economia di Khartoum gli Emirati Arabi sono oggi tra i principali investitori in Sudan, in particolare nel settore petrolifero…

Gli Emirati Arabi sono tra i primi investitori perché, oltre che produrre petrolio in proprio, costituiscono una sorta di "centro di servizi" che si occupa del collocamento dei prodotti petroliferi sul mercato. Circa un terzo delle importazioni negli Emirati sono poi riesportate. È una funzione di broker che si pone anche in concorrenza alla consolidata posizione in questo senso occupata dalle grandi imprese statunitensi.

La Chevron ufficialmente ha abbandonato il Sudan. Che interessi hanno quindi gli Stati Uniti nel paese?

L’interesse statunitense, a mio avviso, non consiste, in Sudan come in Iraq, nell’appropriarsi fisicamente dei pozzi, ma nel preoccuparsi che "governi ostili" non inceppino i meccanismi generali del mercato del petrolio.

E l’Italia che ruolo svolge?

L’Italia è stata, come detto, tra i primi paesi ad effettuare prospezioni in Sudan. Dopo quelle negli anni ’30 della Shell e negli anni ’50 di Mobil e Total, fu l’italiana Agip ad avviare le ricerche nella seconda metà degli anni ’50. L’Agip Sudan proprio nel 1999, quando cominciavano a emergere i primi risultati, è stata venduta a compagnie private dell’Africa orientale. Oggi però l’Italia è il terzo acquirente di petrolio sudanese.

Continua a leggere.

28 maggio 2007

Cosa si deve sentire

Chi segue questo blog sa della mia adesione a un movimento per la diffusione di notizie sul Darfur e la promozione di un appello verso i principali telegiornali nazionali. Ebbene, da Inminoranza apprendo che c'è anche gente, o meglio gentaglia, che difende il governo di Karthoum adducendo il tutto a un complotto dell'Occidente imperialista per mandare truppe in quel paese, ricco di petrolio e di contratti petroliferi con la Cina, che guarda caso è il membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che più strenuamente si oppone all'intervento dei caschi blu in Sudan...
Non riporto neanche i link alle pagine in questione, si trovano nel post che ho linkato. Tuttavia faccio notare che una di queste contiene a sua volta link a siti come Luogo Comune e il sito sulle Scie Chimiche, nel quale tra le altre cose si sostiene che gli americani sono in grado di controllare il clima.
E vi ho detto tutto!
Un altro, invece, ospita un articolo di Claudio Moffa. Per sapere chi sia questo figurino, prego di leggere da Barbara: qui, qui e qui, mentre di alcuni strascichi della vicenda potete leggere sempre da Inminoranza e dai link nel post.
Insomma, la fuffa complottista non si ferma, così come dimostravano già le "teorie" alternative sull'11 settembre, neanche davanti al dolore e alla sofferenza ancora in atto in una regione martoriata da scontri etnici, prima che politici.

ps: tra l'altro, mi viene da aggiungere che questo terribile complotto ordito dalle potenze imperialiste occidentali è così ben ordito e mirato a convincere l'opinione pubblica, che dei comuni blogger hanno sentito l'esigenza di intraprendere un'iniziativa come Italian blogs for Darfur per promuovere una maggiore informazione sull'argomento in Italia.
Conclusione: voglio i soldi dalla CIA!!!

27 aprile 2007

Global Day for Darfur


11 aprile 2007

Google Earth per "spiare" il Darfur

Ecco un interessante esempio di come la tecnologia possa essere utile alla causa dei diritti umani. Da questa notizia sul sito della Reuters si apprende di un progetto dell' Holocaust Memorial Museum di Washington per la mappatura della regione del Darfur, da effettuare con il noto software di Google. Lo scopo è mettere in evidenza le atrocità compiute in quella regione, per fare in modo che risulti più difficile alla comunità internazionale ignorare coloro che hanno bisogno di un urgente aiuto.

20 marzo 2007

Europetizione per il Darfur

Dalla newsletter di ItaBlogs4Darfur:

Il francese Collectif Urgence Darfour lancia l' "EUROPETITION D'URGENCE" ai Capi di Stato e alle Istituzioni dell' Unione Europea per l'invio immediato di una forza di pace internazionale nel Darfur. L' europetizione verrà presentata al raggiungimento di un milione di firme. Per aderire cliccare qui.

Ai Capi di Governo degli Stati membri dell' Unione Europea,A José manuel Barroso, Presidente della Commissione Europea,A Javier Solana, Alto rappresentante dell' Unione Europea per la politica estera e la sicurezza,


Noi, cittadini francesi ed europei, non possiamo più restare indifferenti e inerti dinanzi alla guerra contro i civili che si svolge attualmente nel Darfur, nell'ovest del Sudan. L'esercito sudanese e le milizie janjaweed hanno massacrato villaggi interi di concittadini delle etnie Fur, Massaliti e Zaghawi, principalmente a causa della loro origine "nero-africana", che costituiscono la maggior parte dei sei milioni di abitanti del Darfur.[...leggi tutto]
Signori e Signore, come ha chiesto il Parlamento Europeo nella sua risoluzione del 15 febbraio 2007 votato all'unanimità, dovete agire ora!


In linea con la Risoluzione 1706 del Consiglio di Sicurezza dell' ONU, gli Stati Europei devono inviare immediatamente una forza di interposizione con il mandato di:
- proteggere la popolazione dal massacro generalizzato;
- costituire dei corridoi umanitari sicuri che permettano alle organizzazioni umanitarie di raggiungere l'insieme della popolazione che necessita di aiuto;- deferire davanti alla Corte Penale Internazionale tutti gli individui accusati di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità.
Inoltre occorre:
- stabilire una zona di interdizione aerea su tutto il Darfur;
- applicare sanzioni mirate, conformemente alla ultima risoluzione del Parlamento Europeo;
- favorire le condizioni di un vero accordo di pace tra tutte le parti, che permetta agli sfollati e ai rifugiati di fare ritorno alle proprie terre in totale sicurezza.


E' dovere dell' Europa intervenire oggi ed esercitare la sua responsabilità di proteggere il popolo del Darfur!

14 marzo 2007

Darfur: Sudan ha orchestrato il genocidio

Dal sito del corriere:

Rapporto dell'Onu: «Il governo del Sudan ha orchestrato e partecipato ai crimini di massa»

PORT HARCOURT (NIGERIA) – Il rapporto del gruppo speciale delle Nazioni Unite per investigare le condizioni dei diritti umani in Darfur, reso pubblico ieri a Ginevra, è durissimo: “Il governo del Sudan – c’è scritto con una terminologia tutt’altro che diplomatica, inusuale per l’organizzazione internazionale – ha orchestrato e partecipato” ai crimini di massa che comprendono omicidi, stupri generalizzati e rapimenti.

Ma il documento è duro anche con la comunità internazionale, il cui comportamento davanti alla tragedia viene definito “patetico”, alla quale viene chiesto agire immediatamente per fermare la carneficina in atto. Si calcola che nella provincia occidentale del Sudan siano stati ammazzati finora almeno 200 mila civili, mentre 2 milioni hanno lasciato le loro case e sono scappati nel campi di rifugiati (in Ciad) o di sfollati. Quattro milioni di persone poi, secondo le agenzie dell’ONU soffrono a fame e vivono in condizioni disperate. Il team di cinque membri, guidato dal premio Nobel per la pace, riconosciutole per il suo impegno nella campagna della messa al bando delle mine, Jody Williams, è stato bloccato nelle sua investigazione dal governo del Sundan, che non ha mai dato loro i permessi per entrare in Darfur. Gran parte del lavoro è stato fatto in Ciad, per altro ormai anch’esso investito dalla guerra, dove invece il gruppo è entrato nei campi dei rifugiati e ha parlato con chi ci vive, raccogliendo testimonianze e racconti raccapriccianti che parlano “di gigantesche e sistematiche violazioni dei diritti umani e gravi strappi alla legge internazionale”.

“Il governo – c’è scritto nel rapporto ed è stato sottolineato da Jody Williams – è complice in questi crimini per aver armato e addestrato le milizie janjaweed”. I janhjaweed sono gli scherani del regime arabo del nord che dal 2003 hanno lanciato campagne di terrore contro la popolazione civile di origine africana: bruciano i loro villaggi, uccidono gli uomini, violentano le donne e le bambine e rapiscono i ragazzini che vengono arruolati a forza. Gli attacchi dei “diavoli a cavallo” (questo vuol dire janjaweed, perché all’inizio della loro campagna di terrore arrivavano al galoppo mentre ora si servono di più confortevoli e veloci 4 x 4, secondo le accuse, fornite dal governo) sono sostenuti dal cielo da massicci bombardamenti aerei. Le denunce non sono nuove e giungono dopo che altre organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno lanciato il loro grido d’allarme.

Il governo di Khartoum ha sempre sostenuto che le cifre dei morti e degli sfollati sono “decisamente esagerate” e la situazione, come descritta dai media occidentali, non risponde alla realtà. Sempre secondo i leader sudanesi, comunque, negli ultimi mesi è molto migliorata. Al contrario tutti i rapporti parlano di un peggioramento notevole e di una precisa volontà di pulizia etnica e sterminio. La terribile tragedia del Darfur mette a nudo l’incapacità della comunità internazionale di reagire e trovare un sistema per proteggere la popolazione civile. Già nel settembre 2004 l’allora segretario dell’ONU, Koffi Annan aveva denunciato crimini e massacri e, pochi giorni dopo, il Segretario di Stato americano in carica Powel Colin, aveva addirittura parlato di genocidio in corso. Ed esattamente due anni dopo sempre Koffi Annan aveva ancora esortato, senza successo, ad agire.

Da più parti da un paio d’anni viene invocato l’invio di un contingente di caschi blu, ma il Sudan, spalleggiato dal suo alleato in Consiglio di Sicurezza, la Cina, ha sempre negato il suo permesso, sostenendo che “la situazione è sotto controllo”. Eppure tutti i grandi leader mondiali e lo stesso Koffi Annan nell’aprile 2004 in occasione del decennale del genocidio in Ruanda (un milione di morti) avevano solennemente dichiarato: “Mai più un altro genocidio”. “Le parole senza azioni fanno solo ironia”, ha dichiarato ieri Jody Williams. A fine febbraio la Corte Penale Internazionale ha messo sotto accusa per crimini contro l’umanità il ministro sudanese per gli affari umanitari Ahmed Mohammed Haroun, e uno dei leader dei janjaweed, Janjaweed Ali Muhammad Ali Abd al-Rahman, più conosciuto come Ali Kushayb. Il procuratore del tribunale, Luois Moreno-Ocampo, ha sciorinato ben 51 capi d' accusa, compresi omicidi di massa, stupri e torture, ma il governo non ha fatto una piega, anche se per via ufficiosa qualcuno ha fatto sapere che i due non sarebbero mai stati consegnati alla Corte dell’Aja.

Esam Elhag, portavoce dell’SLA (Sudan Liberation Movement), al telefono con il Corriere non ha nascosto la sua soddisfazione per il documento: “Finalmente ci aspettiamo una reazione delle Nazioni Unite – ha detto -. Dovrebbero immediatamente dichiarare il Darfur ‘No fly zone’, cioè vietare il suo cielo a qualunque volo, così da impedire agli aerei governativi di bombardare i nostri villaggi. E poi forzare l’invio di un contingente dell’Onu”. Proprio ieri l’Unione Africana ha auspicato che nella provincia devastata dai massacri e dalle atrocità, vengano inviati almeno 22 mila caschi blu.

28 febbraio 2007

L'Aja: in Darfur crimini di guerra

Notizia riportata ieri dai siti di vari giornali italiani, è la prima volta in cui si individuano dei possibili responsabili per i massacri in Darfur.

Accusati due leder sudanesi. Nella martoriata regione sudanese del Darfur oltre 200.000 persone sono state uccise e circa 2,5 milioni sono state messe in fuga dal conflitto scoppiato nel febbraio 2003
Un segretario di Stato sudanese e un leader delle milizie arabe Janjaweed sono stati i primi due accusati di crimimi di guerra e contro l’umanità nel Darfur davanti alla Corte penale internazionale (Cpi), a quattro anni dall’inizio del conflitto costato più di 200.000 morti, secondo l’Onu. Il procuratore del Cpi, Luis Moreno-Ocampo, ha presentato ai giudici le «prove» che Ahmed Haroun, ex segretario di Stato agli Interni del Sudan e Ali Kosheib (nome di guerra di Ali Mohamed Ali, uno dei capi delle milizie filo-governative Janjaweed) si sono macchiati di crimini di guerra contro la popolazione del Darfur«, afferma un comunicato del’ufficio del procuratore. Il procuratore li accusa di »51 capi di imputazione di crimini di guerra e contro l’umanità, fra cui persecuzioni, omicidii, turtura e stupri«, commessi fra l’agosto 2003 e il marzo 2004 contro abitanti di villaggi dell’ovest della regione sudanese.

Ahmed Haroun, oggi segretario di Stato agli affari umanitari, nel periodo a cui fanno riferimento le accuse del Cpi era incaricato del dossier Darfur presso il ministero degli Interni. Quanto ad Ali Kosheib, è considerato dalle organizzazioni in difesa dei diritti umani, in particolare dall’americana Human Rights Watch, uno dei principali responsabili degli attacchi lanciati dalle milizie arabe nel 2003-2004. I giudici di questo che è il primo tribunale internazionale permanente incaricato di pronunciarsi su genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, che ha la sua sede a l’Aia, dovranno a questo punto esaminare le »prove«. In seguito decideranno, se le riterranno sufficienti, di chiedere la loro estradizione al Sudan, che non è uno Stato firmatario del Cpi, o di emettere dei mandati di arresto internazionali a loro carico.

Ieri, il Sudan ha negato qualsiasi competenza del Cpi rispetto al dossier del Darfur. »La posizione di principio del Sudan è che questo tribunale non può avere alcuna competenza sui sudanesi«, ha dichiarato il ministro della Giustizia, Mohammed Ali al-Mardhi. Luis Moreno Ocampo, che dal giugno 2006 indaga su denunce di persecuzioni, torture, stupri e omicidi, ha dichiarato all’Onu di ritenere di disporre di prove sufficienti per accusare i due uomini qui nominati di crimini di guerra e contro l’umanità. La sua inchiesta è relativa a fatti svoltisi nel 2003 e 2004, periodo considerato il più violento della sanguinosa guerra civile che dura da quattro anni.

»Il mio ufficio non può svolgere le indagini sulle centinaia di crimini e perseguirne tutti i responsabili«, aveva dichiarato il procuratore a dicembre. »Mi sono concentrato sui fatti più gravi e sulle persone che hanno maggiori responsabilità in questi fatti«, aveva proseguito. La sua equipe ha effettuato più di 70 missioni in 17 Paesi, ha studiato i casi di centinaia di vittime potenziali e ha interrogato un centinaio di testimoni, aveva precisato. Moreno Ocampo era stato criticato da diverse Ong e anche dall’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Louise Arbour, per il fatto che i suoi inquirenti non si sono mai recati nel Darfur, per problemi di sicurezza. Il Cpi ha competenza in Paesi la cui magistratura non può o non vuole agire. All’occorrenza, il Consiglio di sicurezza dell’Onu può chiedere al tribunale di intervenire. Secondo l’Onu, circa 200.000 persone sono morte nella guerra del Darfur e per le sue conseguenze e più di 2 milioni sono state costrette alla fuga dalle zone del conflitto.

09 dicembre 2006

IB4D a "Più libri più liberi"

L'iniziativa di Italian Blogs For Darfur è stata presentata il 7 dicembre a Roma nell'ambito della manifestazione "Più libri più liberi". Ecco il video con l'intervento di Serena S.

28 novembre 2006

Intervista a Esam Elagh, portavoce del Sudan Liberation Army

Il Sign. Esameldin Elagh, portavoce del SLA/M, Movimento armato di liberazione del Sudan, gruppo che ha rifiutato l'accordo di pace del 5 maggio scorso tra il Governo e i ribelli, ci ha concesso un'intervista via e-mail, che pubblichiamo qui nella sua versione originale in inglese. La versione tradotta in italiano verrà pubblicata a breve su questo blog e nella newsletter. (da ItalianBlogs4Darfur)

"What about you and SLM/A?

I am about forty years old , father of three children, all are males , I was working in business mediation and tourism field , I dreamt with the revolution in Darfur since my early years in life , but it delayed until 2003 , what is important now , it`s there.

I joined SLM/A since it`s first days , and I was in Sudan when it blown , and still and will continue supporting its struggle against the regime in Khartoum to restore the rights of the people of Darfur who suffered a lot from the central mentality which governing the country since the independence of Sudan in 1956 , 1st Jan .

Why Sudan government is fighting the Darfur people, supporting janjaweed militias?

The government of Sudan is not only against the Darfur people , it`s against the whole people of Sudan descending from African ethnicity , the central government throughout the history of Sudan since independence fought the south of Sudan because they are different , African ethnics and they are Christians , then Nuba mountains , then blue nile , all because they are Africans , and now darfur , and what is happening now in darfur is not more than a reproduction operation of the crisis of the south , nuba mountains and blue nile , they fought darfur because we have asked to be treated equally with the people of the north Sudan and we have asked for our rights as human beings , because we asked for hospitals and schools for our kids , because we asked for development for our historically marginalized region, the central governments governed and governing Sudan don`t accept and respect the different in Sudan , they believe in the Arabism of the Sudan while the 80% are not arabs or arab descending , they don`t respect or confess with the diversity of the country , all should be arabs and muslims according to their views .

The janjaweed formed mainly from arab tribes , it is true not all arab tribes in darfur taking part in this militia , the government supporting them for many reasons :
- because the government couldn`t achieve any victory against our troops
- the government plant in these tribes that Africans would like to dismiss you from darfur , so the janjaweed sward not to leave any black in darfur.
- the janjaweed don`t have land in darfur , so the government promised them the land if they succeeded in evacuating darfur from blacks.


Why SLA didn't accept peace accord in May?

The accord of May can`t be named as peace accord , no one of us want the war , the losers are our people , we want peace , but the just and durable peace , we are not looking for jobs in the government ,in brief the May accord created some positions for the movements but brought nothing for the darfurians , even the positions created by the accord are without legislative and executive authorities , no guarantees for the disarmament of the janjaweed , no compensations for the victims of the humanitarian crisis created by the government and the janjaweed militias , the government according to the accord will pay 30 million USD in compensations , the IDPs and the refugees are over 3.5 million , which means 8.5 USD per person , it is a joke , 400000 persons killed by the government and the militias , scorched policy being applied , horrible atrocities being committed , and after all 8.5 USD/ person ! , also there is no any kind of oblige to the government in the accord .


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18 novembre 2006

Sudan dice sì a "storici" colloqui sul Darfur - Onu

Pare ci siano buone notizie sul Darfur.

KHARTOUM (Reuters) - Un accordo per tenere nuovi colloqui fra tutte le parti coinvolte nel conflitto in Darfur sarà un'opportunità storica per mettere fine alle lotte che hanno ucciso 200.000 persone, secondo quanto riferito oggi dal capo dell'unità umanitaria dell'Onu.

Al termine di un vertice nella capitale etiope di Addis Abeba è stato stabilito che un trattato di pace siglato a maggio da una sola delle tre fazioni ribelli coinvolte è inadeguato e che si dovrebbe dare il via ad un nuovo processo di pace sotto la guida congiunta dell'Onu e dell'Unione Africana (Au).

"Il Dpa (accordo di pace per il Darfur) non è abbastanza completo ... (e) questo ha portato all'insicurezza, ha peggiorato la situazione umanitaria e ha limitato l'accesso degli aiuti umanitari", dice il comunicato presentato al termine dell'incontro.

Il coordinatore umanitario all'Onu Jan Egeland ha detto che l'accordo di Addis Abeba rappresenta un punto di svolta che potrebbe portare le parti rivali a sedersi allo stesso tavolo dei negoziati per sancire una pace completa rispettata e approvata dagli abitanti del Darfur, per molti dei quali ritengono inadeguato il trattato di maggio.

"Siamo stati testimoni di un momento storico ad Addis Abeba ... abbiamo assistito ad un accordo per un nuovo tentativo politico per mettere fine a questo disastro provocato dall'uomo", ha detto ai giornalisti a Khartoum.

Il governo del Sudan e il gruppo ribelle che hanno firmato l'accordo a maggio si sono fino ad ora rifiutati di accettare qualsiasi cambiamento all'accordo.

Egeland ha reso noto che ad Addis è stato trovato un accordo per l'impiego di una forza effettiva che protegga i civili, che l'Unione Africana non è riuscita a difendere a causa della scarsità di armamenti e di un mandato debole.

"(Quello che abbiamo è) un tentativo per avere per la prima volta una forza credibile dispiegata sul posto che potrebbe proteggere la popolazione civile e proteggere le persone occupate a fornire aiuti umanitari", ha detto.

Un incontro di tutte le parti coinvolte nel conflitto si dovrebbe tenere nelle prossime settimane, dice il comunicato.

15 novembre 2006

Vignette sul Darfur

Alla campagna di Italian Blogs for Darfur partecipano anche dei vignettisti. Ecco le loro prime creazioni sul tema.


10 ottobre 2006

Altre notizie dal Darfur

Linko da SaveTheRabbit:

ANCORA VILLAGGI ATTACCATI IN DARFUR, CON L’AIUTO DEL GOVERNO SUDANESE E DELL’ONU.

Era il 1999 quando Massimo D’Alema, senza mandato dell’ONU e senza che nessuna risoluzione della stessa fosse stata violata dalla Serbia, inviò i nostri aerei a bombardare Belgrado, per evitare che nuove fosse comuni venissero coperte, così come era successo in Bosnia.
Ora, evidentemente, ben lungi dal desiderare il bombardamento di Karthoum, siamo dinanzi a un esplicito caso di discriminazione. Migliaia di morti africani in Darfur, fanno meno impressione alla comunità internazionale, che non ha il coraggio di svincolarsi dal gioco della Cina e della Russia e di costituire un’alleanza dei Paesi Democratici per porre fine allo sterminio in atto nella regione del Darfur.

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25 settembre 2006

Opportunismo per il Darfur

Approfitto dell'immane afflusso di contatti che sta avendo il mio blog a causa di un link su un post di Attivissimo per ricordare dell'iniziativa di Italian Blogs for Darfur. Si può firmare una petizione online per chiedere ai maggiori telegiornali di dare più spazio alle notizie riguardanti la tragedia del Darfur. Per maggiori informazioni su cosa accade in quella regione del Sudan, potete andare, per esempio, qui, dove potete anche aderire all'iniziativa, se avete un blog.

18 settembre 2006

Giornata mondiale per il Darfur

Era ieri, non oggi, ma ne approfitto per ricordare che è possibile sottoscrivere grazie a ItalianBlogs4Darfur un appello ai media italiani per chiedere loro di rivolgere maggiore attenzione verso questa tragedia.
E' anche possibile sottoscrivere due petizioni online, di Human Rights First e di Amnesty International.
Riporto infine un articolo de La Stampa di ieri, citato anche da IB4D:

TRAGEDIA DIMENTICATA. A GEREIDA LA PIÙ GRANDE CRISI UMANITARIA DEL PIANETA VIENE IGNORATA DA TUTTI E UN’INTERA POPOLAZIONE SI SENTE TRADITA DALL’ONU CHE NON RIESCE A MANDARE I CASCHI BLU
Darfur, prigione a cielo aperto
Centotrentamila profughi abbandonati agli squadroni della morte 17/9/2006
di Chaterine Simone

Un guerrigliero del DarfurGEREIDA (Sud Darfur). Seduto in una povera capanna di frasche, un mazzo di fiori di plastica e un mangiacassette posati su un tavolino, Adil, il giovane re dei Massaliti, dice che sì, ha passato un brutto quarto d’ora. Turbante bianco, occhiali scuri, il «monarca» parla lentamente, in un inglese approssimativo. «Hanno persino cercato di rubarmi il satellitare», s’indigna. In Africa l’autorità dei re tribali non è più quella d’un tempo. Adil è re per caso. Il vero monarca, suo cugino, è partito da Gereida di buon mattino, lavora a Khartoum come ufficiale di polizia. Il primo settembre, all’alba, Gereida, piccolo centro del Far West sudanese, nell’estremo Sud Darfur, è stato attaccato da una dozzina di uomini. Massaliti, la tribù predominante nella regione, la stessa governata dal giovane Adil. Ma, come dice il re a interim, «senza soldi non c’è potere». Quella mattina i colpi d’arma da fuoco hanno svegliato la città, provocando «da due a quattro morti, secondo le fonti», precisa il governatore di Nyala. Tre feriti sono all’ospedale, uno è grave. Tutti contro tutti Per il Darfur è nulla, ma l’incidente è di cattivo auspicio. Per la prima volta, a Gereida, i Massaliti hanno attaccato gli Zaghawa, un’altra tribù tra le più influenti del Darfur. Tutti i combattenti facevano parte dell’Armata di liberazione del Sudan (Als) e più precisamente della fazione principale, comandata da Minni Arku Minnawi, un Zaghawa. E allora? Neri contro altri neri. Neri nel Darfur? In Sudan nulla è semplice. Dallo scoppio del conflitto, nell’aprile 2003, quando i combattenti dell’Als insorti contro il potere centrale e la sua politica discriminatoria, condussero il loro primo attacco di rilievo, contro l’aeroporto di El Fasher, capitale del Nord Darfur, l’Onu ha contato 300 mila morti e circa 2,5 milioni di profughi. Fin lì la tragedia sembrava uno scontro fra gli «arabi» e gli «africani» del Darfur, il regime arabo-islamista di Khartoum, sede del potere centrale, e le milizie janjawid, alla lettera «cavalieri demoniaci», per terrorizzare i villaggi e cacciare i contadini dalle loro terre. Poi le cose si sono complicate. «All’inizio - spiega un funzionario dell’Onu di stanza a Nyala - il conflitto contrapponeva l’esercito governativo ai ribelli dell’Als. Ma dopo l’accordo di pace di Abuja (siglato il 5 maggio fra il governo e la principale fazione, comandata da Minni Minnawi), la ribellione si è frammentata. Al Nord, nella regione di El Fasher, la guerra divampa fra i partigiani Zaghawa di Minnawi e i combattenti Four di Abdel Wahid Al Nur, capo della fazione minoritaria dell’Als, che non ha sottoscritto gli accordi di Abuja. E gli stessi Four sono divisi fra i seguaci di Adbel Wahid e quelli del suo ex braccio destro, Abdel Charfi». È chiaro che, con la fine delle piogge, scoppierà il caos nel Darfur, provincia sudanese grande come la Francia, abitata da 7 milioni di persone. Nessuno protegge i villaggi e i profughi ammassati nei campi di raccolta. I dirigenti della fazione dominante dell’Als hanno altre priorità. Dopo la pace con Khartoum Minni Minnawi è stato promosso «consigliere speciale» del presidente Omar al-Bashir, suscitando invidie e rancori tra i vecchi amici dei tempi della rivolta. Sul terreno «è il caos», conferma un diplomatico europeo. Fra i firmatari di Abja e i dissidenti, fra i guerriglieri pentiti e gli irriducibili, si aprono nuovi fronti. Si moltiplicano attacchi e rappresaglie. I 7.000 soldati dell’Unione africana, che a fine settembre dovrebbero ritirarsi, stanno a guardare. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato, il 31 agosto, l’invio di caschi blu. Ma Khartoum non vuole e il dispiegamento dei soldati della pace appare sempre più improbabile. Vietato girare disarmati Di fatto, al di fuori dei grandi agglomerati, spesso tenuti dalle forze governative, la maggior parte della provincia è stata dichiarata, con il motivo della crescente insicurezza, off limits alle organizzazioni umanitarie. Dopo che i raid janjawid li hanno privati dei loro campi, centinaia di migliaia di sudanesi ora sono privati di ogni soccorso. Il governo intende inviare ingenti rinforzi militari a Nyala e, soprattutto, a El Fasher. La decisione prelude forse a nuovi massacri che, potrebbero, stavolta, essere perpetrati su più ampia scala e a porte chiuse? Le minacce alla stampa straniera e le sanzioni recentemente decise da Khartoum contro le ong possono lasciarlo credere. «Non posso più nemmeno entrare nella regione dove lavoravo fino a 6 mesi fa: attorno al villaggio di Korma, le truppe dell’Als fanno muro», testimonia Claire Allard, che è stata ad Al Fasher dal luglio 2005 al marzo 2006. Responsabile dell’aiuto alimentare per l’ong francese Acf, Action cointre la faim, è arrivata a Gereida il 1° giugno. Più o meno contemporaneamente ai nuovi profughi del Darfur Sud, in fuga dai janjawid. Gereida è un piccolo centro dimenticato di 20 mila anime che ha visto crescere a dismisura i suoi abitanti con l’arrivo dei rifugiati. In due anni è diventato il più grande campo profughi del mondo: 130 mila persone, ai limiti della sopravvivenza. Con solo 6 ong, fra cui la Croce Rossa internazionale, incaricate di provvedere ai bisogni più urgenti, cibo, acqua potabile, un minimo di medicinali. «C’è almeno un fattore di stabilità - osserva l’intrepido impiegato locale dell’Acf - quasi tutti i profughi sono Massaliti. Fossero stati di origini diverse, come al campo di Kalma, la situazione sarebbe già esplosa». Gereida è un’isola nella campagna verde e deserta, dove i civili disarmati non osano nemmeno avventurarsi. Una prigione a cielo aperto, che è il destino comune alla maggior parte delle città del Darfur. Perché l’Onu non arriva? Abugasim Jibril Ibrahim, l’uomo più ricco di Gereida, è preoccupato. «Bisogna che ci difendiamo da soli, perché nessuno ci protegge. Abbiamo bisogno di armi», ripete senza posa. Seduto su uno sgabello di corde incrociate, sotto a un albero lungo la strada, Abugasim, ha una settantina d’anni. Indossa una djellaba bianca e un turbante tradizionale, ha calzini grigi flosci e sandali di plastica. Accanto a lui una stampella. Ad aprile è stato ferito dai janjawid sulla strada di ritorno da Nyala. Prima della guerra aveva una mandria di 157 vacche, terre, negozi, magazzini e camion. «Sarei ancora ricco se avessi fatto scorte di acciaio e di macchinari», spiega. Del suo bestiame, razziato, non resta nulla. «Il Darfur è povero - prosegue - e la sua sola ricchezza è il commercio. Ma non possiamo più muoverci: le piste non sono sicure. Finché ci sono le ong ce la caviamo. Ma l’Onu dovrebbe decidersi a mandare i soldati. Lo dica, è urgente. Se i janjawid assaltano la città chi li ferma?». Nato a Gereida, anche lui commerciante, Fakhr Adeen Mussa è incaricato di raccogliere «l’imposta» versata all’Als dai mercanti della città. «Quindici milioni di lire (circa 5.200 euro), ogni mese». «Chi rifiuta di pagare viene minacciato di finire in carcere», aggiunge. Peraltro questo non garantisce la sicurezza. «Questa guerra è un brutto colpo per gli affari», sospira. Un suo fratello è stato ferito dai janjawid e il suo camion «depredato, a due riprese», dai Fellata e dai Mahedin, due tribù «arabe» della regione. Prima del conflitto Fakhr Adeen Mussa aveva una dozzina di impiegati. Gliene restano sei, e non è male. Perché chi era diventato milionario affittando a peso d’oro alloggi alle ong oggi si ritrova su lastrico, come la maggior parte dei rifugiati. Oggi, a Gereida, non ci sono più il bestiame, i campi e i commerci che davano lavoro. Il primo imprenditore è la Croce Rossa che ha arruolato oltre 200 locali, fra cui qualche donna. Sottosviluppo cronico «Devono aiutarci a costruire scuole, ospedali e strade»: Abugasim sogna a occhi aperti. Quando era ragazzo, nei primi Anni ‘50, in Sudan c’erano 23 scuole secondarie, di cui una sola in Darfur. A fine 2002 la provincia aveva solo 160 chilometri di strade asfaltate, non opera dello stato ma dalla Banca Mondiale, negli Anni ‘70», scrive Gérard Preunier nel suo libro «Le Darfour, un génocide ambigu», Le Table ronde, 2005. L’opera, che traccia la storia dell’antico sultanato, offre mille esempi dell’«assoluto sottosviluppo» nel quale i regimi succedutisi a Karthoum hanno lasciato questa provincia, già base di tutti i commerci. A Gereida, dove le case non si distinguono in nulla dalle capanne dei profughi, la miseria è immensa, ma l’ordine regna nei «quartieri», nati in base ai villaggi d’origine. Il mezzo degli aiuti umanitari fa il suo giro. Se tutto va bene, Acf distribuirà, in dieci giorni, cibo sufficiente per un mese. La clinica della Croce Rossa, aperta nel 2004, assiste da 500 a 600 pazienti al giorno, relativamente pochi rispetto ai 700 dei mesi «caldi», aprile e maggio. Le donne, con i loro bambini, sono più numerose. Le patologie respiratorie sono il problema più comune. E gli stupri. Le donne vanno a cercar legna da ardere in campagna e sono assalite. Gli uomini non ci vanno. «Una donna rischia l’aggressione, ma un uomo rischia la morte», dice Hanane Alì, sorella dello «sceicco» del quartiere Dito, ripetendo quello che tutte le donne del campo hanno imparato a dire agli stranieri.

04 luglio 2006

Darfur e dintorni

Segnalo due post: il primo è un'intervista su Passi nel deserto a Donata Lodi, Direttore delle relazioni esterne dell'UNICEF Italia, il secondo è di SaveTheRabbit, sui pericoli per la popolazione del Chad.