22 aprile 2007

Giornata della Terra

Oggi si celebra l’Earth Day, la Giornata della Terra. Giunta alla sua 38esima edizione (la prima fu nel 1970), essa si propone come forte mezzo propagandistico a sostegno delle varie tesi ambientaliste sullo stato del pianeta, e in fin dei conti come ulteriore occasione per fare disinformazione.
Colgo quindi l’occasione per proseguire la serie di post ispirati dal libro Le Bugie degli Ambientalisti, iniziata circa un anno fa, parlando in generale del tema del riscaldamento globale e del ruolo dell’anidride carbonica. (Le altre puntate della serie sono qui, qui, qui e qui).

Già qualche settimana fa ho riportato in due post una pagina del sito Ecofantascienza, presente tra i link a fianco, in cui si esaminava il legame tra CO2 e temperatura del pianeta, giungendo a conclusioni ben diverse da quelle comunemente riportate. Non so chi tenga quel sito, ma i dati esposti sono facilmente reperibili in rete (ammesso che non si vada su siti ambientalisti) e mi risultavano anche da altre fonti; e di conseguenza lo ritengo affidabile anche nelle conclusioni.
Al contrario di ciò che si sente spesso dire (penso per esempio a un servizio delle Iene di 2-3 settimane fa, intervistando Mario Tozzi), le tematiche ambientali sono, in ambiente scientifico, oggetto di un acceso dibattito, come ho cercato di dimostrare nel precedente post, a proposito degli uragani.
Da un’intervista qui riportata a Riccardo Cascioli, uno dei due autori del libro prima citato, risulta che anche all’interno dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo dell’ONU preposto a studiare i cambiamenti climatici, vi siano molte voci critiche sull’ultimo rapporto stilato: molti scienziati ne sono usciti per vari disaccordi, e lo stesso Autore Principale, il dottor Trenberth, ha in parte ritrattato le conclusioni riportate nel sunto preliminare, presentato recentemente alla conferenza di Parigi.
Tempo fa il buon Wellington parlò di quei 60 scienziati canadesi che si opponevano alle tesi sul riscaldamento globale, e l’Oregon Institute of Science and Medicine ha promosso a riguardo un manifesto sottoscritto da circa 19000 scienziati americani (17000 secondo la pagina che ho linkato da Ecofantascienza, ma la sostanza non cambia). Vorrei quindi che fosse chiaro che il dibattito è tutt’altro che chiuso.

Detto questo, ci si può chiedere: quali effetti ha un aumento della CO2 nell’atmosfera, se come detto non è la principale causa dell’effetto serra?
Può innanzitutto essere utile sapere che la comparsa dei vegetali sul pianeta e il loro sviluppo sono coincisi con un periodo in cui la concentrazione di CO2 era pari a 6000 ppm (parti per milione), ovvero circa venti volte i valori attuali. Al contrario, ci sono piante che, con concentrazioni inferiori a 100 ppm, muoiono: è come se a un uomo si togliesse l’ossigeno.
Esistono inoltre vari studi sull’effetto di una maggiore concentrazione di CO2 sui vegetali; per esempio il professor Sherwood Idso, del Dipartimento dell’Agricoltura statunitense, ha osservato che con un incremento da 350 a 650 ppm di CO2 il tasso medio di crescita di 475 varietà di piante è aumentato di oltre il 50%, mentre aumentando la concentrazione a 2250 ppm la produttività è aumentata del 165% (pubblicato da The European Science and Environment Forum, 1996). Inoltre, si è osservato che in questa maniera aumentava anche l’efficienza delle piante nell’utilizzo dell’acqua, elemento che favorirebbe la coltivazione anche in zone affette da scarsità di piogge.
Del resto, la maggiore presenza di anidride carbonica nell’atmosfera può essere una delle cause dell’aumento delle foreste degli ultimi 50 anni. Sì, avete capito bene! Ma di questo parlerò in un altro post, in futuro.

Aggiungo un’ultima cosa sul tanto santificato Protocollo di Kyoto. Ricordando il calcolo di quanto la CO2 influenzi la temperatura globale, e tenendo conto delle riduzioni di emissioni che il Protocollo si prefigge, una sua perfetta attuazione permetterebbe una riduzione della temperatura di pochi centesimi di grado!!!
Il costo? Secondo stime dell’IPCC, che di certo non ha alcun interesse a denigrare il Protocollo, potrebbe essere di 18 quadrilioni (18.000.000.000.000.000 in cifre, 1.8*10^16 in notazione scientifica) di dollari (Alyster Doyle, Reuters, 27 ottobre 2003). Tradotto in percentuali, significa una quantità tra l’1% e il 4.5% del PIL mondiale fino al 2050. Simili cifre significano che, per raggiungere un risultato così esiguo, si spenderanno quantità inimmaginabili di risorse economiche, a tutto scapito dello sviluppo e quindi del progresso necessario a migliorare realmente la qualità della vita (si pensi a macchine più efficienti, auto meno inquinanti ecc.), per non parlare della mancata occupazione.
Per esempio, per quanto riguarda l’Italia, la direttrice dell’International Council for Capital Formation, Margo Thorning ha calcolato che “l’applicazione del Protocollo di Kyoto potrebbe costare all’Italia una riduzione del PIL fino al 3% nel 2025, con una perdita di 280.000 posti di lavoro” (Avvenire, 2 dicembre 2003).

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