La guerra dei sondaggi
Capita spesso, durante la campagna elettorale, che i giornali riportino i risultati dei sondaggi sulle preferenze di voto degli elettori. Secondo l’ultimo, in contrasto con la tendenza dell’ultimo periodo che vuole l’Unione in vantaggio, il Polo avrebbe superato il centro-sinistra. Questo ha provocato molte polemiche da parte dell’opposizione, che ha accusato Berlusconi di aver fatto confezionare un sondaggio ad hoc per poter affermare di aver raggiunto gli avversari, e da parte di Prodi ho sentito solo considerazioni di tipo politico, volte a mettere in dubbio il risultato, ma senza la minima argomentazione. Insomma, i politici non si smentiscono. Non vedo la capacità di parlare di fatti. Eppure non ci sarebbe voluto molto, come farò vedere, per trarre dal sondaggio le giuste conseguenze.
Espongo prima i dati, supponendo che siano “onesti”. Il sondaggio è stato effettuato interpellando un campione di n=1920 persone, suppongo distribuite in maniera uniforme tra la popolazione. Il risultato attribuisce queste percentuali: Polo 49.4 %, Unione 49.2%.
Un profano direbbe che il Polo è in vantaggio, ma quando si calcolano delle quantità si deve sempre tenere conto del loro errore statistico, che calcolo: la distribuzione è assimilabile a una binomiale, e la possibilità p che una persona dica che voterà per il Polo è stimata dal risultato del sondaggio (quindi è 0.494). L’errore relativo su p è: (pq/n)^½ , dove q (=1-p) è la probabilità che l’intervistato dica di votare per l’Unione o di non sapere chi votare. Nel caso specifico risulta che l’errore percentuale è dell’1,14%. Ripetendo il ragionamento per il valore della percentuale attribuita all’Unione si ottiene praticamente lo stesso risultato, quindi l’errore relativo è lo stesso. Riscrivendo le percentuali con il loro errore si ha che: il Polo ha il (49.4 ± 0.6) %, mentre l’Unione ha il (49.2 ± 0.6) %. Ora, per poter dire con un buon grado di certezza che una percentuale è maggiore dell’altra, la differenza tra i due valori calcolati (0.2 %) dovrebbe essere circa tre volte più grande dell’errore sulle misure (0.6 %), in base alla teoria della statistica. Come si vede, ciò non accade, anzi, la differenza è più piccola dell’errore, e ciò significa che al più si può dire che i valori sono uguali, con un alto grado di confidenza.
Espongo prima i dati, supponendo che siano “onesti”. Il sondaggio è stato effettuato interpellando un campione di n=1920 persone, suppongo distribuite in maniera uniforme tra la popolazione. Il risultato attribuisce queste percentuali: Polo 49.4 %, Unione 49.2%.
Un profano direbbe che il Polo è in vantaggio, ma quando si calcolano delle quantità si deve sempre tenere conto del loro errore statistico, che calcolo: la distribuzione è assimilabile a una binomiale, e la possibilità p che una persona dica che voterà per il Polo è stimata dal risultato del sondaggio (quindi è 0.494). L’errore relativo su p è: (pq/n)^½ , dove q (=1-p) è la probabilità che l’intervistato dica di votare per l’Unione o di non sapere chi votare. Nel caso specifico risulta che l’errore percentuale è dell’1,14%. Ripetendo il ragionamento per il valore della percentuale attribuita all’Unione si ottiene praticamente lo stesso risultato, quindi l’errore relativo è lo stesso. Riscrivendo le percentuali con il loro errore si ha che: il Polo ha il (49.4 ± 0.6) %, mentre l’Unione ha il (49.2 ± 0.6) %. Ora, per poter dire con un buon grado di certezza che una percentuale è maggiore dell’altra, la differenza tra i due valori calcolati (0.2 %) dovrebbe essere circa tre volte più grande dell’errore sulle misure (0.6 %), in base alla teoria della statistica. Come si vede, ciò non accade, anzi, la differenza è più piccola dell’errore, e ciò significa che al più si può dire che i valori sono uguali, con un alto grado di confidenza.
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