02 febbraio 2006

Il Pianista

Era da un po' di giorni (da prima di aprire il blog, in realtà) che volevo scrivere alcune cose sul film "Il pianista", che ho visto qualche giorno fa. Avevo anche già scritto un post qui su questo film, ma era più che altro volto a ironizzare su alcune dichiarazioni del presidente dell'Iran.
Ciò che invece mi spinge a scrivere un post serio è la grandissima emozione che mi ha fatto provare una scena in particolare, quella che secondo me è la più importante del film. Per capire il senso della scena è necessario conoscere la vicenda: il protagonista (il pianista Wladyslaw Szpilman, la cui storia è raccontata anche in un suo libro) vive a Varsavia ed è agli inizi della sua carriera concertistica, quando i nazisti iniziano ad applicare le leggi razziali contro gli ebrei. In una spirale di follia, è costretto come i suoi simili dapprima a portare una fascia che li distingua dalla "gente normale", e poi ad andare ad abitare nel ghetto, murato per limitare le diverse zone. Seguono episodi in cui è sempre più chiaro ai loro occhi che ciò che sta accadendo sia ben più tragico di ciò che sembrava loro all'inizio. Il regista (Roman Polanski) non lesina scene di truci uccisioni ad opera dei soldati nazisti, ma nonostante ciò il film si concentra principalmente sul dramma personale di un uomo che, come accade a tanti altri, si trova di fronte alla violenza inusitata e del tutto gratuita non solo dei tedeschi, ma anche degli ebrei che si sono prestati a fare servizio di polizia per loro. Per miracolo riesce a fuggire dal treno che portava la sua famiglia e quasi tutti gli abitanti del ghetto verso una ignota destinazione, e da allora inizia a essere sempre più solo, lavora alla costruzione di un palazzo con altri sfuggiti alla deportazione, riesce a fuggire e a nascondersi in diverse abitazioni in Varsavia, grazie a un'amica violoncellista. E per tutto il tempo si assiste al degrado dell'uomo, sempre più svilito, malato; per ironia della sorte nella sua ultima casa si trova un pianoforte che non può suonare per non essere scoperto. L'apice di questo climax è nella lunga sequenza in cui egli, dopo la cacciata dei nazisti, vaga solo per quello che rimane della sua bella città (impressiona la scena della strada con tutti i palazzi distrutti),non si sente un dialogo, il suo aspetto è stravolto, zoppica, trova una casa più integra delle altre e si nasconde in soffitta portando con sè una scatola di cetrioli che non sa come aprire. Una delle volte in cui scende per trovare degli attrezzi, lo scopre un ufficiale tedesco in perlustrazione. "Che fai?" "Cerco di aprire questa scatola" "Sei ebreo?" "Sì" "Che lavoro fai" "sono...ero un pianista" "Mi suoni qualcosa?". La richiesta sembra quasi grottesca, ma è al contempo seria e gentile, quasi che anche l'ufficiale tedesco aspiri a qualcosa di diverso della guerra nella quale si trova. Credo che l'essenzialità del dialogo sia voluta, per fare sì che il lungo silenzio sia spezzato solamente dal brano che il protagonista sceglie di suonare (la ballata n.1 di Chopin, op.23 in sol m). Come dicevo, la vicenda è un dramma personale, in cui la realtà storica fa solo da sfondo, rimane all'esterno, per riemergere prepotentemente dall'interno, si rispecchia nell'abbruttimento fisico del pianista, nel suo logorio, nel ridursi delle sue necessità all'essenziale, a ciò che serve a sopravvivere (nascondersi e mangiare). Ma, seppure spogliato esteriormente, in lui vi è ancora qualcosa di umano, che lo ha accompagnato per tutto il tempo, e che alla richiesta dell'ufficiale riaffiora in tutta la sua forza, ne riafferma l'umanità negatagli fino ad allora, al pianoforte appare trasformato, è ritto sulla sedia, sicuro nei movimenti che tante volte ha ripetuto dentro di sè. Mi piace pensare che il tedesco non abbia deciso di coprirlo (e quindi salvarlo) perché affascinato dalla musica o esclusivamente per bontà d'animo, ma perché per suo tramite abbia visto davanti a sè non un ebreo, o un polacco, ma solo un Uomo nella sua dignità riaquistata.

1 commento:

Andrea&Serena ha detto...

Sono molto molto contento di avere finalmente la possibilità di commentare. E' un post su uno dei miei film preferiti. E tu l'hai descritto perfettamente.
E' vero, vi ha visto un uomo. Ma non vorrei affatto dimenticare la musica. E' paradossalmente un mondo perfetto quello descritto da Polanski: un mondo in cui una ballata di Chopin (una delle più belle composte dal musicista polacco) risolve un piccolo dramma. E mi piace pensare che prima o poi sia possibile. Che un giorno un militare salga sull'Enola Guy rilucidato per l'occasione, su quale è stato montato un bel impiantino bose. E da questo usciranno note che salveranno l'umanità. Se fossimo tutti un poco più pazzi...