Del Tempo e della Memoria
Se siete giunti sin qui siete dei viaggiatori.
Seppure inconsapevolmente, sin dalla nascita siete stati equipaggiati dalla natura ad affrontare un viaggio spaziale la cui durata è, ahimé, irrisoria rispetto ai giganteschi numeri cui l’Universo è abituato.
La vostra astronave è speciale, almeno per la durata della vostra vita e per parecchie delle generazioni a voi successive (certo, a meno che “il cielo non ci cada sulla testa”, come direbbe Abraracourcix, capo della mitica tribù di irriducibili Galli…) continuerà il suo moto, autoalimentandosi e provvedendo anche alle vostre esigenze.
Parliamo della Terra, naturalmente, la nostra prima finestra nello spazio. E’ da qui che prendono vita le prime domande dello scienziato curioso che prova a giocare con ciò che sta al di là di questo oblò, mettendoci fuori il naso.
E’ qui, davanti all’ignoto, che prende vita la sete di conoscenza del cosmo e la voglia di poterlo immaginare come lo vogliamo.
“La fantascienza”, dice il fisico britannico Stephen Hawking, ”non è solo un buon divertimento, ma assolve anche a uno scopo serio, quello di espandere l’immaginazione umana”. E, aggiungerei io, non vi è alcun bisogno di essere un grande fisico per poter contare su una fervida e brillante immaginazione.
Lo scienziato suggerisce che in effetti lo scambio tra scienza e fantascienza è bidirezionale e che “la fantascienza di oggi è spesso la scienza di domani” (cfr. “La Fisica di Star Trek”, di L. M. Krauss).
Eppure è proprio quest’ultima che, più della prima, ci stupisce con le scoperte e le teorie più bislacche, al limite (e spesso ben oltre) dell' umana percezione della realtà.
Hawking ci fa ancora notare come l’attribuzione del nome “Black Holes” (letteralmente “Buchi Neri”) da parte di J. A. Wheeler nel 1967 a stelle super-collassate (già previste teoricamente da Oppeneimer come conseguenza della Relatività Generale di zio Albert) abbia fatto sì che su di esse venisse scritto molto più di quanto sarebbe stato fornendo loro un nome più austero, avendo in effetti tale appellativo incrementato di molto la loro valenza figurativa.
Il buco nero è certamente un oggetto fisico, ma la liricità del nome evoca nel lettore un inevitabile luogo sentimentale.
E’ pur vero, ci spiega ancora Hawking, che, spesso, per poter continuare a usufruire dei fondi della “National Science Foundation”, i fisici sono costretti a “occultare” le ricerche di carattere più fantascientifico come i viaggi nel tempo attribuendo loro denominazioni più seriose come “curve chiuse time-like (tipo tempo)”.
E’ stato il matematico viennese Kurt Gödel a sviluppare la teoria matematica (possibile solo e soltanto grazie alla succitata Teoria della Relatività di zio Alby, suo collega a Princeton) che renderebbe possibile (alla lettera uno scienziato cauto direbbe che “non esclude in linea teorica”) il viaggio nel tempo tramite “l’instaurarsi di un circolo chiuso di causalità”.
Il concetto è che se si percorre una curva chiusa a partire da un qualsiasi suo punto prima o poi necessariamente si tornerà al punto di partenza. Se la curva è di tipo tempo, analogamente a ciò che avviene nello spazio, ci si potrà muovere lungo tale curva e ritornare, a un certo punto, all’istante iniziale. Dunque ci si può muovere avanti e indietro….nel tempo!
Permettetemi di aggiungere che è una fortuna che esista lo spazio, con il quale abbiamo una maggiore dimestichezza nel comprendere questi spostamenti materiali, e grazie al quale comprendiamo meglio la materia più eterea di cui ci sembra sia costituito il tempo.
Seppure inconsapevolmente, sin dalla nascita siete stati equipaggiati dalla natura ad affrontare un viaggio spaziale la cui durata è, ahimé, irrisoria rispetto ai giganteschi numeri cui l’Universo è abituato.
La vostra astronave è speciale, almeno per la durata della vostra vita e per parecchie delle generazioni a voi successive (certo, a meno che “il cielo non ci cada sulla testa”, come direbbe Abraracourcix, capo della mitica tribù di irriducibili Galli…) continuerà il suo moto, autoalimentandosi e provvedendo anche alle vostre esigenze.
Parliamo della Terra, naturalmente, la nostra prima finestra nello spazio. E’ da qui che prendono vita le prime domande dello scienziato curioso che prova a giocare con ciò che sta al di là di questo oblò, mettendoci fuori il naso.
E’ qui, davanti all’ignoto, che prende vita la sete di conoscenza del cosmo e la voglia di poterlo immaginare come lo vogliamo.
“La fantascienza”, dice il fisico britannico Stephen Hawking, ”non è solo un buon divertimento, ma assolve anche a uno scopo serio, quello di espandere l’immaginazione umana”. E, aggiungerei io, non vi è alcun bisogno di essere un grande fisico per poter contare su una fervida e brillante immaginazione.
Lo scienziato suggerisce che in effetti lo scambio tra scienza e fantascienza è bidirezionale e che “la fantascienza di oggi è spesso la scienza di domani” (cfr. “La Fisica di Star Trek”, di L. M. Krauss).
Eppure è proprio quest’ultima che, più della prima, ci stupisce con le scoperte e le teorie più bislacche, al limite (e spesso ben oltre) dell' umana percezione della realtà.
Hawking ci fa ancora notare come l’attribuzione del nome “Black Holes” (letteralmente “Buchi Neri”) da parte di J. A. Wheeler nel 1967 a stelle super-collassate (già previste teoricamente da Oppeneimer come conseguenza della Relatività Generale di zio Albert) abbia fatto sì che su di esse venisse scritto molto più di quanto sarebbe stato fornendo loro un nome più austero, avendo in effetti tale appellativo incrementato di molto la loro valenza figurativa.
Il buco nero è certamente un oggetto fisico, ma la liricità del nome evoca nel lettore un inevitabile luogo sentimentale.
E’ pur vero, ci spiega ancora Hawking, che, spesso, per poter continuare a usufruire dei fondi della “National Science Foundation”, i fisici sono costretti a “occultare” le ricerche di carattere più fantascientifico come i viaggi nel tempo attribuendo loro denominazioni più seriose come “curve chiuse time-like (tipo tempo)”.
E’ stato il matematico viennese Kurt Gödel a sviluppare la teoria matematica (possibile solo e soltanto grazie alla succitata Teoria della Relatività di zio Alby, suo collega a Princeton) che renderebbe possibile (alla lettera uno scienziato cauto direbbe che “non esclude in linea teorica”) il viaggio nel tempo tramite “l’instaurarsi di un circolo chiuso di causalità”.
Il concetto è che se si percorre una curva chiusa a partire da un qualsiasi suo punto prima o poi necessariamente si tornerà al punto di partenza. Se la curva è di tipo tempo, analogamente a ciò che avviene nello spazio, ci si potrà muovere lungo tale curva e ritornare, a un certo punto, all’istante iniziale. Dunque ci si può muovere avanti e indietro….nel tempo!
Permettetemi di aggiungere che è una fortuna che esista lo spazio, con il quale abbiamo una maggiore dimestichezza nel comprendere questi spostamenti materiali, e grazie al quale comprendiamo meglio la materia più eterea di cui ci sembra sia costituito il tempo.
E’ interessante notare come un concetto fisico così essenziale risvegli momenti di vera poesia e di grande impatto sentimentale se solo si prova a pensare a esso in modo più personale.
Nel film diventato già un cult generazionale (e, che sia cult o no, personalmente amo moltissimo….a proposito, grazie Beren per avermelo regalato!!!:-***) “Donnie Darko” di R. Kelly, la teoria del viaggio del tempo, elaborata negli appunti che costituiscono i capitoli dell’affascinante trattato di una vecchia scienziata pazza (e che nello strambissimo menù del dvd è perfino possibile consultare), perde le atmosfere vulcaniane dell’Enterprise per assumere invece una dimensione emotiva, percepibile nell’idea dei tunnel temporali (visivamente una sorta di “lombrichi di luce”) che partono e attraversano i corpi degli amici di Donnie nello strano universo instabile casualmente formatosi dall'altrettanto incredibile incidente con cui la storia si apre. La potenza dell’elemento narrativo sta nella scelta che il protagonista compie tra i due universi possibili che costituiscono la sua realtà. Salverà se stesso o c’è qualcosa che lo porterà a optare per una coincidenza temporale differente?
La mistura assolutamente non banale di scienza e coscienza trova in questa pellicola un’ispirazione geniale. Il tempo come luogo fisico e il tempo come luogo dell’anima.
Ed è ancora il tempo, o meglio la percezione personale che del suo fluire si può avere, co-protagonista indiscusso di un altro movie assolutamente originale “Memento”, di C. Nolan, montato come se fosse un puzzle di cui dover ricomporre i pezzi, un po’ per avvicinarci alla visione del mondo del protagonista. Quest’ultimo, Leonard, a seguito di una misteriosa aggressione, è affetto da un particolare “disturbo” (cito testualmente.."la mia non è amnesia…") che porta la sua mente a “resettare” i ricordi dopo un brevissimo lasso temporale. Egli assume come missione e unica ragione di vita la vendetta dell’assassinio di sua moglie (che lui ricorda morta nel medesimo incidente) e in un meraviglioso monologo (che non riporto interamente perché nulla potrebbe sostituire le atmosfere buie e la musica discreta che timidamente, quasi nel rispetto del dolore di Leonard, fa capolino a sottolineare le semplici e struggenti parole, ciò significa che se non l’avete ancora visto….che fate?Siete ancora lì?:) ) si chiede “Come posso guarire, se non riesco a sentire il tempo?”.
Il tempo è dunque lontano dal ticchettio d’un orologio, assume un connotato assolutamente personale ed è la sensazione che la vita scorra e lasci l’impronta consolatoria e lenitiva nell’altra protagonista di questa intensa pellicola: la memoria.
La memoria è il mezzo che ci permette di registrare emotivamente la fisicità del tempo che passa. Se percorrendo la nostra linea chiusa ci ritrovassimo all’istante iniziale, pur essendo questo istante sempre il medesimo, lo “sperimentatore” avrebbe coscienza di un tempo proprio comunque trascorso. Tale coscienza costituirebbe la memoria della sua impresa. E proprio quando chi scrive questo post è colto dal dubbio di aver mischiato pericolosamente due composti esplosivi, ecco che un consolante ricordo artistico giunge in suo soccorso.
Anche l’eccentrico Salvador Dalì nel suo dipinto “La persistenza della memoria” (più noto volgarmente come il dipinto degli “orologi molli”, 1931) testimonia nel consueto stile surrealista il grande impatto emotivo e il conseguente riverbero anche in campo artistico, che immagineremmo lontano da quello razionale e scientifico, delle novità metriche dello spazio-tempo apportate dalla Teoria della Relatività einsteiniana.
Dalì deforma gli orologi (lo strumento che misura il tempo per eccellenza) per invitare l’osservatore a considerare la dimensione temporale con occhio nuovo e, oltre a ciò, racchiude nello spazio onirico della tela delle vaghe forme, come se la nostra mente registrasse i nostri ricordi in modo non convenzionale, rivoluzionario, come il caro vecchio Albert ci ha insegnato a fare. La deformazione degli oggetti corrisponde a mettere in dubbio che ciò che si ritiene ordinariamente razionale lo sia davvero e il dubbio stesso è lo strumento che ci permette di conquistare un senso in più.
Il tempo, dunque, non è più inesorabile (come il minuto di Kipling nei versi della sua “If”, inteso poeticamente come tempo da dover riempire con “qualcosa che valga sessanta secondi”), ma si piega in questo nuovo spazio e distrugge l’umana illusione di doversi arrendere a esso.
Nel film diventato già un cult generazionale (e, che sia cult o no, personalmente amo moltissimo….a proposito, grazie Beren per avermelo regalato!!!:-***) “Donnie Darko” di R. Kelly, la teoria del viaggio del tempo, elaborata negli appunti che costituiscono i capitoli dell’affascinante trattato di una vecchia scienziata pazza (e che nello strambissimo menù del dvd è perfino possibile consultare), perde le atmosfere vulcaniane dell’Enterprise per assumere invece una dimensione emotiva, percepibile nell’idea dei tunnel temporali (visivamente una sorta di “lombrichi di luce”) che partono e attraversano i corpi degli amici di Donnie nello strano universo instabile casualmente formatosi dall'altrettanto incredibile incidente con cui la storia si apre. La potenza dell’elemento narrativo sta nella scelta che il protagonista compie tra i due universi possibili che costituiscono la sua realtà. Salverà se stesso o c’è qualcosa che lo porterà a optare per una coincidenza temporale differente?
La mistura assolutamente non banale di scienza e coscienza trova in questa pellicola un’ispirazione geniale. Il tempo come luogo fisico e il tempo come luogo dell’anima.
Ed è ancora il tempo, o meglio la percezione personale che del suo fluire si può avere, co-protagonista indiscusso di un altro movie assolutamente originale “Memento”, di C. Nolan, montato come se fosse un puzzle di cui dover ricomporre i pezzi, un po’ per avvicinarci alla visione del mondo del protagonista. Quest’ultimo, Leonard, a seguito di una misteriosa aggressione, è affetto da un particolare “disturbo” (cito testualmente.."la mia non è amnesia…") che porta la sua mente a “resettare” i ricordi dopo un brevissimo lasso temporale. Egli assume come missione e unica ragione di vita la vendetta dell’assassinio di sua moglie (che lui ricorda morta nel medesimo incidente) e in un meraviglioso monologo (che non riporto interamente perché nulla potrebbe sostituire le atmosfere buie e la musica discreta che timidamente, quasi nel rispetto del dolore di Leonard, fa capolino a sottolineare le semplici e struggenti parole, ciò significa che se non l’avete ancora visto….che fate?Siete ancora lì?:) ) si chiede “Come posso guarire, se non riesco a sentire il tempo?”.
Il tempo è dunque lontano dal ticchettio d’un orologio, assume un connotato assolutamente personale ed è la sensazione che la vita scorra e lasci l’impronta consolatoria e lenitiva nell’altra protagonista di questa intensa pellicola: la memoria.
La memoria è il mezzo che ci permette di registrare emotivamente la fisicità del tempo che passa. Se percorrendo la nostra linea chiusa ci ritrovassimo all’istante iniziale, pur essendo questo istante sempre il medesimo, lo “sperimentatore” avrebbe coscienza di un tempo proprio comunque trascorso. Tale coscienza costituirebbe la memoria della sua impresa. E proprio quando chi scrive questo post è colto dal dubbio di aver mischiato pericolosamente due composti esplosivi, ecco che un consolante ricordo artistico giunge in suo soccorso.
Anche l’eccentrico Salvador Dalì nel suo dipinto “La persistenza della memoria” (più noto volgarmente come il dipinto degli “orologi molli”, 1931) testimonia nel consueto stile surrealista il grande impatto emotivo e il conseguente riverbero anche in campo artistico, che immagineremmo lontano da quello razionale e scientifico, delle novità metriche dello spazio-tempo apportate dalla Teoria della Relatività einsteiniana.
Dalì deforma gli orologi (lo strumento che misura il tempo per eccellenza) per invitare l’osservatore a considerare la dimensione temporale con occhio nuovo e, oltre a ciò, racchiude nello spazio onirico della tela delle vaghe forme, come se la nostra mente registrasse i nostri ricordi in modo non convenzionale, rivoluzionario, come il caro vecchio Albert ci ha insegnato a fare. La deformazione degli oggetti corrisponde a mettere in dubbio che ciò che si ritiene ordinariamente razionale lo sia davvero e il dubbio stesso è lo strumento che ci permette di conquistare un senso in più.
Il tempo, dunque, non è più inesorabile (come il minuto di Kipling nei versi della sua “If”, inteso poeticamente come tempo da dover riempire con “qualcosa che valga sessanta secondi”), ma si piega in questo nuovo spazio e distrugge l’umana illusione di doversi arrendere a esso.
Nessun commento:
Posta un commento