Antonia’s line: storia di un matriarcato
Approfitto di questo giorno per portare alla vostra attenzione un film tutto al femminile datato 1995, che, pur avendo conquistato lo strameritato zio Oscar come miglior film straniero, ho avuto modo di constatare quanto sia sconosciuto ai più. ”L’albero di Antonia” della regista-drammaturga Marleen Gorris è lo stupefacente frutto di un’insolita coproduzione olandese, belga e inglese che ripercorre la vita della energica Antonia e della sua progenie dal momento in cui, rimasta vedova a causa della guerra, torna a casa con sua figlia Danielle. Già dalle prime battute della pellicola si intuisce che l’elemento maschile è assolutamente marginale e volto esclusivamente all’elargizione dell’eredità filiale: l’unica prova della presenza passata del marito di Antonia è la loro figlia.
Antonia stessa torna a casa appena in tempo per assistere alla morte dell’anziana madre e per raccoglierne l’ideale filo che le servirà a tessere da allora in avanti il suo possente ma caloroso matriarcato.
Da qui in poi emerge una schiera di simpatici e meno amabili personaggi tipici di una piccola e gretta comunità rurale che gravitano attorno alla famiglia di Antonia: il fattore “scemo”, il viscido parroco, la donna pazza che ulula alla luna il suo amore perduto,e ultimo, ma non ultimo, il poetico Dito Storto, filosofo pessimista che elargisce pensieri struggenti citando Schopenhauer e Nietzsche e ricordandoci tanto il leopardiano pessimismo cosmico e che termina il suo ruolo nella narrazione da vero stoico…..
Il ruolo del maschio si fa esplicito quando Danielle, decisa ad aver un figlio, si reca con la madre da un bravo quanto insulso ragazzo in un “giorno propizio” del mese perché egli renda possibile la continuità dei suoi affetti, continuità che prevede la dolce e non del tutto inaspettata unione saffica tra Danielle e Therese.
Nel film l’uomo costituisce lo sfondo talora positivo (potrei dire di fedele compagno, come accade per la figura di Boer Bas, prima aspirante marito, poi allegro convivente di Antonia), talora negativo, talora assolutamente insignificante (la stoccata peggiore all’orgoglio del sesso forte).
La mistura di lirismo e violenza, pazzia e forza ricorda altri capolavori della scuola fiammingo-danese come “Il pranzo di Babette”, ove anche lì tre donne trovano in se stesse e nella loro forza il modo di riunire un’intera comunità.
Capolavoro anticonformista, ”L’albero di Antonia” ci lascia come ultimo dono le parole “…e nell’attimo in cui tutto finisce, niente finisce….”. Eccolo qui il tema del film, sempre presente eppure, abilmente nascosto qua e là: il tempo.
Antonia ha terminato il suo, ma, come un cerchio che cerchio non è perché mai si chiude, il fluire degli eventi e delle persone continua oltre il materiale e trae vita dalla nostra eredità d’affetti che, nella donna, trova la sua più importante espressione nella procreazione.
Non ci resta che sperare che sia femmina.
ps: per qualche motivo non riesco più a modificare in basso l'autore del post, che in realtà è Luthien.
2 commenti:
Bel post, complimenti per il blog.
Grazie per l'apprezzamento sul pezzo, che è ancora più gradito del solito visto che non ho grande esperienza come "postatrice"....:)
Cercherò di non deluderti per i prossimi.
Per quanto riguarda il blog, il merito è tutto di Beren, quindi:VIVA LUI!!!:))
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