27 settembre 2006

Tagliamo la testa...all'Idomeneo

Ecco l'ennesimo esempio di pecorina autocensura (leggi cacazza) per "rispetto" verso alcuni fanatici. Peccato che, anche se l'allestimento può essere ritenuto più o meno artisticamente valido, si tratti comunque della nostra cultura, e dell'opera di uno dei più importanti compositori della storia!!!

Nella foto, Mozart che sbianca leggendo la notizia sul giornale.

25 settembre 2006

Opportunismo per il Darfur

Approfitto dell'immane afflusso di contatti che sta avendo il mio blog a causa di un link su un post di Attivissimo per ricordare dell'iniziativa di Italian Blogs for Darfur. Si può firmare una petizione online per chiedere ai maggiori telegiornali di dare più spazio alle notizie riguardanti la tragedia del Darfur. Per maggiori informazioni su cosa accade in quella regione del Sudan, potete andare, per esempio, qui, dove potete anche aderire all'iniziativa, se avete un blog.

23 settembre 2006

Il coraggio di Report per smentire...Enrico Lucci

Forse qualcuno ricorderà un servizio di qualche anno fa di Enrico Lucci per le Iene, in cui mostrava alcuni aspetti discutibili o strani della vita quotidiana negli USA, intercalandoli con l'ironica citazione di una frase che suo zio era solito ripetere: "Gli Stati Uniti sono più avanti di noi!".
Ebbene, domani Report ci proporrà un filmato, Confronting the evidence, che espone tesi complottiste sull'11 settembre. Ma, come fa notare Attivissimo in questo post, il filmato risale a due anni fa, col risultato che molte delle tesi che propone sono ormai obsolete (vuoi perché ampiamente smontate dai debunker, vuoi perché non rispecchiano più la situazione attuale) e non sono neanche più sostenute dai maggiori siti complottisti statunitensi!
C'è da chiedersi dunque perché Report lo mostri ora; che lo faccia per dimostrare che Enrico Lucci sbagliava e che gli Stati Uniti sono più avanti di noi?

Enrico Lucci e Milena Gabanelli, protagonisti della titanica contesa!!!

21 settembre 2006

Tempi duri per i pedofili

Ah, questi politici thailandesi. Con questa fissazione per il potere fanno colpi di stato, e rendono instabile la situazione nel paese. Ovvio poi che in Italia le autorità sconsiglino di recarsi in Thailandia. Ma come fa ora un povero pedofilo, mi chiedo io. A lui nessuno pensa?

18 settembre 2006

Giornata mondiale per il Darfur

Era ieri, non oggi, ma ne approfitto per ricordare che è possibile sottoscrivere grazie a ItalianBlogs4Darfur un appello ai media italiani per chiedere loro di rivolgere maggiore attenzione verso questa tragedia.
E' anche possibile sottoscrivere due petizioni online, di Human Rights First e di Amnesty International.
Riporto infine un articolo de La Stampa di ieri, citato anche da IB4D:

TRAGEDIA DIMENTICATA. A GEREIDA LA PIÙ GRANDE CRISI UMANITARIA DEL PIANETA VIENE IGNORATA DA TUTTI E UN’INTERA POPOLAZIONE SI SENTE TRADITA DALL’ONU CHE NON RIESCE A MANDARE I CASCHI BLU
Darfur, prigione a cielo aperto
Centotrentamila profughi abbandonati agli squadroni della morte 17/9/2006
di Chaterine Simone

Un guerrigliero del DarfurGEREIDA (Sud Darfur). Seduto in una povera capanna di frasche, un mazzo di fiori di plastica e un mangiacassette posati su un tavolino, Adil, il giovane re dei Massaliti, dice che sì, ha passato un brutto quarto d’ora. Turbante bianco, occhiali scuri, il «monarca» parla lentamente, in un inglese approssimativo. «Hanno persino cercato di rubarmi il satellitare», s’indigna. In Africa l’autorità dei re tribali non è più quella d’un tempo. Adil è re per caso. Il vero monarca, suo cugino, è partito da Gereida di buon mattino, lavora a Khartoum come ufficiale di polizia. Il primo settembre, all’alba, Gereida, piccolo centro del Far West sudanese, nell’estremo Sud Darfur, è stato attaccato da una dozzina di uomini. Massaliti, la tribù predominante nella regione, la stessa governata dal giovane Adil. Ma, come dice il re a interim, «senza soldi non c’è potere». Quella mattina i colpi d’arma da fuoco hanno svegliato la città, provocando «da due a quattro morti, secondo le fonti», precisa il governatore di Nyala. Tre feriti sono all’ospedale, uno è grave. Tutti contro tutti Per il Darfur è nulla, ma l’incidente è di cattivo auspicio. Per la prima volta, a Gereida, i Massaliti hanno attaccato gli Zaghawa, un’altra tribù tra le più influenti del Darfur. Tutti i combattenti facevano parte dell’Armata di liberazione del Sudan (Als) e più precisamente della fazione principale, comandata da Minni Arku Minnawi, un Zaghawa. E allora? Neri contro altri neri. Neri nel Darfur? In Sudan nulla è semplice. Dallo scoppio del conflitto, nell’aprile 2003, quando i combattenti dell’Als insorti contro il potere centrale e la sua politica discriminatoria, condussero il loro primo attacco di rilievo, contro l’aeroporto di El Fasher, capitale del Nord Darfur, l’Onu ha contato 300 mila morti e circa 2,5 milioni di profughi. Fin lì la tragedia sembrava uno scontro fra gli «arabi» e gli «africani» del Darfur, il regime arabo-islamista di Khartoum, sede del potere centrale, e le milizie janjawid, alla lettera «cavalieri demoniaci», per terrorizzare i villaggi e cacciare i contadini dalle loro terre. Poi le cose si sono complicate. «All’inizio - spiega un funzionario dell’Onu di stanza a Nyala - il conflitto contrapponeva l’esercito governativo ai ribelli dell’Als. Ma dopo l’accordo di pace di Abuja (siglato il 5 maggio fra il governo e la principale fazione, comandata da Minni Minnawi), la ribellione si è frammentata. Al Nord, nella regione di El Fasher, la guerra divampa fra i partigiani Zaghawa di Minnawi e i combattenti Four di Abdel Wahid Al Nur, capo della fazione minoritaria dell’Als, che non ha sottoscritto gli accordi di Abuja. E gli stessi Four sono divisi fra i seguaci di Adbel Wahid e quelli del suo ex braccio destro, Abdel Charfi». È chiaro che, con la fine delle piogge, scoppierà il caos nel Darfur, provincia sudanese grande come la Francia, abitata da 7 milioni di persone. Nessuno protegge i villaggi e i profughi ammassati nei campi di raccolta. I dirigenti della fazione dominante dell’Als hanno altre priorità. Dopo la pace con Khartoum Minni Minnawi è stato promosso «consigliere speciale» del presidente Omar al-Bashir, suscitando invidie e rancori tra i vecchi amici dei tempi della rivolta. Sul terreno «è il caos», conferma un diplomatico europeo. Fra i firmatari di Abja e i dissidenti, fra i guerriglieri pentiti e gli irriducibili, si aprono nuovi fronti. Si moltiplicano attacchi e rappresaglie. I 7.000 soldati dell’Unione africana, che a fine settembre dovrebbero ritirarsi, stanno a guardare. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato, il 31 agosto, l’invio di caschi blu. Ma Khartoum non vuole e il dispiegamento dei soldati della pace appare sempre più improbabile. Vietato girare disarmati Di fatto, al di fuori dei grandi agglomerati, spesso tenuti dalle forze governative, la maggior parte della provincia è stata dichiarata, con il motivo della crescente insicurezza, off limits alle organizzazioni umanitarie. Dopo che i raid janjawid li hanno privati dei loro campi, centinaia di migliaia di sudanesi ora sono privati di ogni soccorso. Il governo intende inviare ingenti rinforzi militari a Nyala e, soprattutto, a El Fasher. La decisione prelude forse a nuovi massacri che, potrebbero, stavolta, essere perpetrati su più ampia scala e a porte chiuse? Le minacce alla stampa straniera e le sanzioni recentemente decise da Khartoum contro le ong possono lasciarlo credere. «Non posso più nemmeno entrare nella regione dove lavoravo fino a 6 mesi fa: attorno al villaggio di Korma, le truppe dell’Als fanno muro», testimonia Claire Allard, che è stata ad Al Fasher dal luglio 2005 al marzo 2006. Responsabile dell’aiuto alimentare per l’ong francese Acf, Action cointre la faim, è arrivata a Gereida il 1° giugno. Più o meno contemporaneamente ai nuovi profughi del Darfur Sud, in fuga dai janjawid. Gereida è un piccolo centro dimenticato di 20 mila anime che ha visto crescere a dismisura i suoi abitanti con l’arrivo dei rifugiati. In due anni è diventato il più grande campo profughi del mondo: 130 mila persone, ai limiti della sopravvivenza. Con solo 6 ong, fra cui la Croce Rossa internazionale, incaricate di provvedere ai bisogni più urgenti, cibo, acqua potabile, un minimo di medicinali. «C’è almeno un fattore di stabilità - osserva l’intrepido impiegato locale dell’Acf - quasi tutti i profughi sono Massaliti. Fossero stati di origini diverse, come al campo di Kalma, la situazione sarebbe già esplosa». Gereida è un’isola nella campagna verde e deserta, dove i civili disarmati non osano nemmeno avventurarsi. Una prigione a cielo aperto, che è il destino comune alla maggior parte delle città del Darfur. Perché l’Onu non arriva? Abugasim Jibril Ibrahim, l’uomo più ricco di Gereida, è preoccupato. «Bisogna che ci difendiamo da soli, perché nessuno ci protegge. Abbiamo bisogno di armi», ripete senza posa. Seduto su uno sgabello di corde incrociate, sotto a un albero lungo la strada, Abugasim, ha una settantina d’anni. Indossa una djellaba bianca e un turbante tradizionale, ha calzini grigi flosci e sandali di plastica. Accanto a lui una stampella. Ad aprile è stato ferito dai janjawid sulla strada di ritorno da Nyala. Prima della guerra aveva una mandria di 157 vacche, terre, negozi, magazzini e camion. «Sarei ancora ricco se avessi fatto scorte di acciaio e di macchinari», spiega. Del suo bestiame, razziato, non resta nulla. «Il Darfur è povero - prosegue - e la sua sola ricchezza è il commercio. Ma non possiamo più muoverci: le piste non sono sicure. Finché ci sono le ong ce la caviamo. Ma l’Onu dovrebbe decidersi a mandare i soldati. Lo dica, è urgente. Se i janjawid assaltano la città chi li ferma?». Nato a Gereida, anche lui commerciante, Fakhr Adeen Mussa è incaricato di raccogliere «l’imposta» versata all’Als dai mercanti della città. «Quindici milioni di lire (circa 5.200 euro), ogni mese». «Chi rifiuta di pagare viene minacciato di finire in carcere», aggiunge. Peraltro questo non garantisce la sicurezza. «Questa guerra è un brutto colpo per gli affari», sospira. Un suo fratello è stato ferito dai janjawid e il suo camion «depredato, a due riprese», dai Fellata e dai Mahedin, due tribù «arabe» della regione. Prima del conflitto Fakhr Adeen Mussa aveva una dozzina di impiegati. Gliene restano sei, e non è male. Perché chi era diventato milionario affittando a peso d’oro alloggi alle ong oggi si ritrova su lastrico, come la maggior parte dei rifugiati. Oggi, a Gereida, non ci sono più il bestiame, i campi e i commerci che davano lavoro. Il primo imprenditore è la Croce Rossa che ha arruolato oltre 200 locali, fra cui qualche donna. Sottosviluppo cronico «Devono aiutarci a costruire scuole, ospedali e strade»: Abugasim sogna a occhi aperti. Quando era ragazzo, nei primi Anni ‘50, in Sudan c’erano 23 scuole secondarie, di cui una sola in Darfur. A fine 2002 la provincia aveva solo 160 chilometri di strade asfaltate, non opera dello stato ma dalla Banca Mondiale, negli Anni ‘70», scrive Gérard Preunier nel suo libro «Le Darfour, un génocide ambigu», Le Table ronde, 2005. L’opera, che traccia la storia dell’antico sultanato, offre mille esempi dell’«assoluto sottosviluppo» nel quale i regimi succedutisi a Karthoum hanno lasciato questa provincia, già base di tutti i commerci. A Gereida, dove le case non si distinguono in nulla dalle capanne dei profughi, la miseria è immensa, ma l’ordine regna nei «quartieri», nati in base ai villaggi d’origine. Il mezzo degli aiuti umanitari fa il suo giro. Se tutto va bene, Acf distribuirà, in dieci giorni, cibo sufficiente per un mese. La clinica della Croce Rossa, aperta nel 2004, assiste da 500 a 600 pazienti al giorno, relativamente pochi rispetto ai 700 dei mesi «caldi», aprile e maggio. Le donne, con i loro bambini, sono più numerose. Le patologie respiratorie sono il problema più comune. E gli stupri. Le donne vanno a cercar legna da ardere in campagna e sono assalite. Gli uomini non ci vanno. «Una donna rischia l’aggressione, ma un uomo rischia la morte», dice Hanane Alì, sorella dello «sceicco» del quartiere Dito, ripetendo quello che tutte le donne del campo hanno imparato a dire agli stranieri.

15 settembre 2006

Crollo delle Twin Towers - La parola di un esperto

Leggendo i commenti di una notizia su Fisicamente, ho letto l'intervento di un ingegnere strutturista che fa delle osservazioni sulla dinamica del crollo delle Torri Gemelle. E con tutte le chiacchiere da bar-11-settembre che si sentono in giro, ritengo utile riproporre i suoi due interventi, che si distinguono per pacatezza e mancanza di faziosità:

Sono un ingegnere strutturista. Con questo ovviamente non ho la verità in tasca ma non trovo convincente, limitandomi a commentare il crollo, la teoria delle esplosioni controllate. Le lesioni dei pilastri dopo l'impatto hanno tuttavia lasciato integro quanto c'era sopra. Quando, causa l'incendio, i rimanenti pilastri del piano lesionato hanno ceduto tutta la "punta" è venuta giù e i vari solai hanno ceduto a cascata. Tenete presente che solai per uffici reggono più o meno 600 chili al metro quadrato e collassano (sempre indicativamente) per un carico circa tre volte superiore; figuaratevi se ci arriva sopra qualcosa come il peso di una decina (o più) di piani di un grattacielo, peso amplificato a dismisura dal carattere impulsivo dell'impatto. Si saranno innescati poi ulteriori meccanismo di collasso; per esempio le colonne, non più trattenute lateralmente dai solai saranno andate soggette a instabilità per carico di punta. Per una disamina migliore bisognerebbe conoscere nel dettaglio la struttura portante, naturalmente, e produrre complicate simulazione con programmi agli elementi finiti. Io mi limito a parlare sulla base di quella che è la mia esperienza, per quello che vale.Tra l'altro nel crollo, la "punta" non è inizialmente venuta giù per moto rettilineo dall'alto verso il basso ma nei primi momenti ha ruotato, schiacciando sulla parte lesionata come ci si doveva aspettare; in alcune immagini, fatte vedere in questi giorni, si vede abbastanza bene come l'asse del grattacielo disegnasse una linea spezzata nel momento di incipiente collasso. Gli sbuffi che si vedono fuori uscire dalle finestre durante il crollo li posso spiegare come aria che viene compressa da quanto sta crollando, come l'aria che in un cilindro è compressa da un pistone.

Insomma applicando il rasoio di Okkam cosa è più semplice? Che il crollo sia avvenuto causa l'impatto di un aereo gigantesco o perchè avevano in precedneza minato le colonne portanti?

Un po' strano mi appare invece il crollo del terzo edificio.

Dove si possono nutrire perplessità è sull'abilita di neofiti a pilotare con tanta precisione aerei di tal fatta; ho però visto intervistare piloti (non ricordo su che rete, pochi gioni fa comunque) che spiegavano come la cosa non fosse così impossibile. Ma qui non so che dire non avendo esperienza di pilotaggio di aerei...

Ciao
Marco (dal Trentino)

e ancora:

A completamento del mio predente intervento va sottolineato che NON è la temperatura di fusione dell'acciao il parametro da considerare per la crisi di una struttura. Una trave in acciaio (per esempio il classico Fe36 delle costruzioni civili) a 700°C di temperatura "collassa" con un carico pari a circa il 25% di quello a temperatura ambiente! La crisi della struttura può avvenire anche molto prima dei 700 gradi se il carico applicato è superiore a quello critico per una data temperatura. Non dobbiamo pensare che una struttura vada in pezzi solo se le sue travi sono fuse.Inoltre la dilatazione del ferro è più o meno impedita dalle giunzioni con gli altri elementi e questo può innescare classici fenomeni di instabilità (carico di punta, imbozzamento, svergolamento delle sezioni, effetto "P-Delta"... scusate i tecnicismi) per cui una struttura portante (trave o pilastro) può cedere sotto carichi sorprendemente bassi rispetto a quelli teorici per cui era stato pensato.

Per quanto attiene il peso che "non aumenta per magia" bisogna fare attenzione; l'urto (sto pensando alla "punta" della torre che si schianta sui piani inferiori) è un fenomeno di tipo impulsivo per cui una forza (il peso, in questo caso) ha la capacità di aumentare a dismisura il suo effetto. Gli effetti dinamici (prodotti da cose che si muovono) possono essere devastanti; per fare un esempio che non c'entra niente col fatto ma rende l'idea, nei ponti il peso di un camion va amplificato del 40% per il solo fatto che si muove e non sta fermo! Secondo voi un vento di 65 km orari può sbriciolare un ponte in acciaio e calcestruzzo? Ebbene è successo (Ponte di Tacoma, 1940) per effetti "secondari" (si fa per dire, viste le conseguenze...), ora ben conosciuti.

Tenete ancora presente che i singoli piani (solai) sono carta velina per delle strutture (la "punta" delle Torri Gemelle) che gli piombano dall'alto in quel modo; niente di strano che cedano di schianto. Sarebbe incredibile il caso contrario. Eppure questa "carta velina" ha l'effetto importante di legare a sè i pilastri. Venendo a mancare tale abbraccio i pilastri si trovano improvvisamente "nudi" e possono collassare con carichi molto molto bassi (carico di punta).

Ci sono ottime ragioni, senza avere visto gli atti dell'inchiesta, per pensare che il crollo delle Torri Gemelle sia avvenuto proprio secondo la spiegazione ufficiale. E' la cosa migliore che abbiamo, a mio parere. Eventuali complotti dovrebbero essere meglio provati, ben oltre qualche fotogramma preso qui e là ed ampiamente insufficienti per demolire la spiegazione del crollo come conseguenza dell'impatto degli aerei. E' una situazione che mi ricorda quella della presunta cospirazione per cui la NASA non sarebbe mai andata sulla Luna, tesi che nessun astronomo condivide.

Questo non toglie altre stranezze alla vicenda, sottolineate in vari interventi (l'abilità dei piloti principianti, la CIA o FBI che non legge -diciamo così- le informative, la vendita del ferro, gli imbarazzanti -aggiungo io- rapporti d'affari tra i Bush e la famiglia di Bin Laden ecc.). Eppoi Bush jr mi appare troppo idiota per architettare piani così diabolici; d'accordo direte voi è un fantoccio manovrato da altri.

Insomma, almeno per quanta riguarda il fatto tecnico del crollo delle Torri Gemelle, non riesco a vedere verità alternative a quelle ufficiali. Ovviamente se un giorno ci saranno prove stringenti (purché lo siano davvero) del contrario mi ricrederò.

Marco (dal Trentino)

Come nota, aggiungo che nessuno, cioè nè il moderatore (che è un fisico) nè qualcun altro si è preso la briga di rispondere alle sue osservazioni.

13 settembre 2006

Alcune spiegazioni

Scrivo in risposta a un post di Feanor.

Innanzitutto ti ringrazio per l'articolata risposta, non pretendevo tanto. Ti assicuro che non mi ero risentito per quello che avevi scritto, semplicemente non ero sicuro di aver capito ciò che intendevi dire.

Credo che vedere un blog non sia sufficiente a giudicare una persona, per un semplice fatto: manca la conoscenza di quelle che sono vicende personali che mai hanno trovato posto tra i post. Se leggi l'URL del blog, o il suo titolo, ti accorgerai che manca qualcuno all'appello. Nel proposito iniziale, infatti, anche la mia ragazza (la mia Luthien) avrebbe dovuto contribuire, e nella mia idea originale sarebbe dovuto essere uno spazio da coltivare in comune. Se poi pensi che abbiamo letto TUTTO il Silmarillion insieme, puoi ben capire il perché della scelta dei nick. In seguito lei si è tirata indietro perché non aveva voglia di scrivere in rete, e così mi ha lasciato solo in questa "attività".

Dire che la mia visione è permeata da un filo-americanismo e da una non celata simpatia per Israele non è del tutto corretto nella sua prima parte: semplicemente non ho un'antipatia a priori verso gli USA; e nell'ultimo anno, a partire dalla bufala di Rainews24 sul fosforo bianco a Falluja, ho potuto invece constatare come esista un'informazione il cui interesse sia solo il far propaganda, cercando di propinare all'uomo medio (che tendenzialmente accetta queste notizie senza verificarle) cose che non stanno nè in cielo nè in terra, per quanto sono inverosimili, se esaminate con un occhio critico.
Ne sono una dimostrazione anche i recenti avvenimenti in Libano. Non hai idea delle bufale che ci hanno propinato riguardo i "crimini" di Israele durante questa guerra. Alcuni blogger le hanno sistematicamente messe in evidenza, se vuoi ti posso indicare un sacco di link. Alla luce di questo, non può che essermi più simpatico Israele, la cui posizione estremamente delicata non potrà mai essere realmente compresa da un occidentale come me o come te, col sedere su una comoda poltrona e senza avere qualcuno che ci odia profondamente a poche decine di chilometri di distanza.

E dalle mistificazioni arrivo al mio link al sito di Galileo 2001. Perché è evidente l'assonanza tra le bufale basate su notizie smentibili da qualunque tecnico esperto (di fosforo bianco o di Photoshop che sia), e gli allarmismi di tipo ambientalista (guardacaso sostenuti dalla stessa parte politica che si bea della malvagità degli amerikani).
Riguardo Odifreddi, ti do ragione, nel senso che, pur avendone parlato in un mio post, non mi sta troppo simpatico per la sua eccessiva supponenza. Ma d'altro canto lui non mi risulta faccia parte di Galileo 2001.

Sai, il titolo del tuo post (ma sicuramente ne sei conscio) contiene un ossimoro: la scienza non è oscurantista per definizione. Essa si pone semplicemente l'obiettivo di spiegare frammenti di realtà per quanto concesso alle capacità umane, e non può andare oltre. Uno scienziato onesto lo sa. Oscurantista è chi, arrogandosi una posizione di predominanza culturale, morale, o pseudoscientifica, vuole imporre un sapere non avallabile tramite la scienza.

12 settembre 2006

11 settembre e Matrix

Non sarebbe stato male riprendere a postare con qualche riflessione su ciò che accadde 5 anni e un giorno fa, ma non è stato possibile.
Ero comunque certo di una cosa: alla termine del mancato post avrei raccomandato a chi leggeva, per rispetto verso le migliaia di persone che persero la vita quel giorno, di dare un'occhiata alle inchieste di Paolo Attivissimo e di Aribandus sull'11 settembre, volte a smentire le tesi cospirazioniste che attribuiscono a membri del Governo degli USA la responsabilità di quelle morti.
Mi sembra doveroso, perché tali tesi si sono diffuse grazie ad alcuni siti e, recentemente, a filmati che cercherebbero di dimostrare che la tesi ufficiale mira a nascondere la verità, ovvero che tutto ciò che accadde quel giorno farebbe parte di una ben precisa strategia.
E dunque, parlare e diffondere la conoscenza di questi siti mi sembra essenziale per impedire che persone anche ben intenzionate, ma magari ingenue, si facciano prendere in giro da certa gente. Perché in realtà nessuno ha il tempo di andare a verificare ciò che trova scritto, per cui si tende a dare per buono ciò che si legge, e ci si convince che le cose stiano proprio così.

Ieri, in seconda serata, c'era una puntata di Matrix in cui si riparlava di queste tesi cospirazioniste, con Giulietto Chiesa e Maurizio Blondet da una parte e Jas Gawronski e Alessio Vinci dall'altra. Non entro nel merito delle argomentazioni esposte, ma mi limito a fare alcune osservazioni sui due ospiti "complottisti". Il modo in cui hanno condotto il dibattito e risposto alle domande che gli si faceva per motivare le proprie posizioni mi è sembrato chiaramente esemplificativo dell'atteggiamento comune tra chi crede in queste tesi alternative.
La parola magica è proprio questa: "alternativo". Le persone (Chiesa e Blondet) che vedevo in trasmissione mi sembravano pronte a tutto pur di contraddire la posizione ufficiale del governo USA sui fatti di quel giorno. Fregandosene della coerenza delle proprie! Perché ci si aspetterebbe che chi decide che una versione non gli piace ne debba avere a disposizione una ALMENO altrettanto convincente e completa. Ma non è così.
Si sono toccati momenti di pura assurdità logica: secondo Chiesa nessun aereo ha colpito il Pentagono, e quando gli hanno chiesto di spiegare che fine dovesse aver fatto il velivolo con le 67 persone che aveva bordo, ha avuto il coraggio di dire: "non lo so, devono spiegarmelo loro"!!!
Capito? Quindi: io mi faccio la teoria alternativa, e voi mi tappate i buchi. Più comodo di così... (sul sito di Matrix, potete trovare il passaggio nella Parte 4 al minuto 10'50").
Altra perla che prova ciò che scrivevo riguardo l'esigenza di negare sempre e comunque la versione ufficiale: parlando del volo precipitato in Pennsylvania, Chiesa mette in dubbio che il segno lasciato sul terreno "corrisponda a un aereo di quelle dimensioni" (ma che ne sa lui di che segno lascia un aereo? lasciano tutti lo stesso segno? non dipenderà da carico, inclinazione, velocità, terreno...?), arrivando a dire che non è caduto lì, ma da un'altra parte.
Mentana: "Perché?"
Chiesa: "Non lo so."
Provare per credere: Parte 5, 6'00".