28 febbraio 2006

Indagine sulle carceri USA di Iraq e Afghanistan

Human Rights First ha appena concluso un'ampia indagine sulle morti sotto custodia degli USA e la scorsa settimana ha pubblicato un rapporto intitolato: Responsabilità del Comando; morti di detenuti sotto custodia degli USA in Iraq e Afghanistan.
Il rapporto è molto esaustivo, ne traduco uno stralcio (il documento completo si può trovare qui):

"Dall'agosto del 2002, quasi 100 detenuti sono morti mentre erano nelle mani di ufficiali USA nel corso della "guerra globale al terrore". Secondo la classificazione degli stessi militari USA, 34 di questi casi sono omicidi sospetti o confermati; Human Rights First ne ha identificati altri 11 in cui i fatti suggeriscono che la morte sia il risultato di abusi fisici o di condizioni di detenzione crudeli. In circa metà delle morti analizzate, la causa di morte rimane non determinata o improvvisa. In totale, otto persone sotto custodia USA sono state torurate a morte."

L'indagine è molto minuziosa e documenta i casi uno per uno, con nomi di vittime, testimonianze, ecc. I casi sono suddivisi in: omicidi, cioè morti per tortura, abuso o forza (è da notare che la definizione data di omicidio è più ampia di quella giuridica, vedere nota n.3), e morti per cause ufficialmente non note, "naturali", o altre. Traduco un altro pezzo:

"Delle quasi 100 morti ... almeno un terzo sono state vittime di omicidio per mano di uno o più dei carcerieri. Almeno otto, e forse fino a 12, sono stati torturati a morte. Gli omicidi includono anche morti che i militari classificarono come dovute a "cause naturali", e morti che i militari continuano a classificare come "giustificate" [credo in base alla definizione giuridica, che escluderebbe alcuni casi, ndT]."

Human Right First sottolinea come, nonostante la CIA sia implicata in molte delle morti, nessun suo membro abbia dovuto affrontare accuse penali. C'è da aggiungere che "solo 12 morti sono risultate da punizioni di qualsiasi tipo da parte di ufficiali USA". In qualche caso i colpevoli (e non sempre tutti) sono stati puniti. Inutile dire che mi auguri che questo avvenga al più presto. E' possibile firmare una petizione a riguardo sul sito di HRF a questa pagina.

Aggiungo una considerazione: questo rapporto è un esempio di come l'informazione (anche se questa non è esattamente definibile come tale) dovrebbe essere fatta, di come si possa ricercare la verità senza essere faziosi o cercando lo scoop a puro scopo propagandistico. Dovrebbero averlo presente tutti quelli che hanno gridato allo scandalo vedendo e credendo ciecamente nel lacunoso (a dir poco) reportage sul fosforo bianco a Falluja. E dovrebbe anche far pensare chi difende sempre a spada tratta gli USA.

25 febbraio 2006

Square9: drop outs cafè. n°1

E' uscito oggi il primo numero di Square9, che raccoglie i post dei blog di nepalnetwork e altri.
"Noi ci proviamo. Square9 va avanti e si regala il Numero1. Dentro di tutto: una prima parte ancora dedicata al Nepal e al network. Poi musica, attualità, fotografia, racconti, poesia..."
Per scaricare il file .pdf andare su questa pagina di Squareplaza. Buona lettura!

24 febbraio 2006

A cosa serve il petrolio, a cosa non servono i petrodollari

Ho trovato un bellissimo post che spiega un po' di cose su come i paesi arabi spendono i soldi guadagnati dalla vendita del petrolio, da aconservativemind:

Avete presente tutte quelle belle frasi preconfezionate sul fatto che il resto del mondo è povero perché noi ricchi occidentali sfruttiamo le loro risorse? Certo che le avete presenti, è quello che dicono tutti: è uno di quei refrain che trovate, in egual misura, sulla bocca di Bin Laden e negli articoli dei tanti giornalisti e intellettuali terzomondisti. Ora, prendiamo il petrolio. Lo usiamo per andare in auto, certo, ma anche per guardare la televisione e usare il telefono cellulare, visto che il petrolio è uno dei combustibili più usati nelle centrali elettriche, specie in Italia (un giorno ne parleremo...). Dunque, fosse vero che la colpa è nostra, in quei Paesi in cui da decenni piovono le royalty del petrolio le cose dovrebbero andare alla grande: scuole efficentissime, acqua potabile per tutti, centri di ricerca all'avanguardia, programmi sociali da fare invidia alle socialdemocrazie europee. Bello, vero? Solo che non è così. Nei paesi produttori di petrolio, scuole, infrastrutture, ricerca e welfare fanno semplicemente schifo. Per non parlare di quel corollario chiamato rispetto dei diritti umani. Lo scempio è tale che se ne sono accorte persino le Nazioni Unite. Ecco come (non) vengono usati i soldi che noi spendiamo per il petrolio, quello che ieri è arrivato a 67,35 dollari al barile.
Allah è grande e il greggio è il suo profeta. Il conto l'ha fatto la Arab Bank, quindi ci si può fidare: dal 1974 al 1998 il petrolio ha portato nelle casse dei Paesi arabi 25.500 miliardi di dollari. Spalmati sui 285 milioni di arabi, bambini compresi, fanno 91.000 dollari a testa. Fosse piovuta sui governi occidentali, questa valanga di fantastiliardi avrebbe prodotto nell'ordine: 1) la prevedibile corsa al magna magna da parte dei politici locali (quanto e come dipende dal Paese); 2) un vistoso incremento della spesa pubblica, sotto forma di nuove infrastrutture, programmi di welfare, leggi e leggine più o meno clientelari; 3) il ritorno in circolo di parte di questi soldi, a maggior gloria della crescita dell'economia e della ricchezza di tutti. Però quei soldi sono finiti ai governanti dei Paesi arabi, e il risultato ora è lì davanti agli occhi del mondo: l'arricchimento personale c'è tutto, mentre degli investimenti in beni materiali (ospedali, scuole, acquedotti) o immateriali (ricerca e sviluppo, cultura, parità tra i sessi) o di una qualche forma di redistribuzione, manco l'ombra.Parte di quei soldi è servita a comprare le armi che hanno reso la regione ancora più instabile. I Paesi arabi sono i primi acquirenti di armi del pianeta, grazie a un esborso annuo di 45 miliardi di dollari. In tutto, per le spese militari se ne va il 7,5% del loro reddito nazionale: cinque punti sopra la media mondiale. Soldi che servono a rendere Medio Oriente e dintorni l’area più instabile del pianeta, quindi ad altissimo rischio anche per gli investimenti. Per capire che fine abbia fatto il resto dei soldi, forse più che alle statistiche vale la pena di affidarsi alle notizie di cronaca. Qualche spunto qua e là: un emiro del Brunei, nel '94, acquistò 19 Ferrari. Un suo vicino di casa, sceicco del Qatar, a Maranello ha pensato bene di farsi costruire il van che trasporta i cavalli . Un principe di Dubai ha preteso rubinetti d'oro sul suo Boeing 737 personale, così come d'oro erano i rubinetti della villa del figlio di Saddam.L'aneddotica è lunga e proverbiale e stride con le condizioni di vita dell'arabo medio. Dal 2003, con cadenza annuale, le Nazioni unite hanno iniziato a pubblicare il loro Rapporto sullo sviluppo umano nel mondo arabo. Conoscendo la suscettibilità dei personaggi, ne hanno affidato la preparazione a un team di ricercatori arabi. Il quadro che ne esce è comunque drammatico. Mentre i cavalli degli sceicchi viaggiano in Ferrari, oggi un arabo su cinque è costretto a tirare avanti con meno di due euro al giorno. Le royalty petrolifere non sono state investite nell'istruzione: 10 milioni di bambini arabi non frequentano la scuola e sono attesi da un futuro di miseria e ignoranza, facili prede di ideologie estremistiche capaci di aizzarli contro la parte più ricca del mondo; 65 milioni di arabi (il 23 per cento del totale) sono analfabeti, e due terzi di questi sono donne. Nonostante ciò, la spesa per l'educazione è in calo.
Nessun investimento degno di questo nome in Ricerca e Sviluppo, cui va solo lo 0,2% del Pil, per di più quasi tutto alla voce “salari”, cioè per mantenere burocrati di Stato che con la scienza non hanno nulla a che fare. In proporzione al reddito nazionale, il mondo arabo dedica alla ricerca una quota che è un settimo della media mondiale. Il risultato è che, in venti anni, dai Paesi arabi sono stati registrati appena 370 brevetti, contro i 7.652 del solo Stato di Israele.
Le infrastrutture essenziali restano un miraggio. Su 22 Paesi arabi, 15 figurano tra quelli che non possono garantire ai loro abitanti il minimo d'acqua necessario a una vita decente. Quanto alla spesa sanitaria, nel mondo arabo è ferma al 4% del reddito nazionale, contro una media mondiale del 5,7%. Intanto la disoccupazione ha superato il 15%, l'età media della popolazione continua a scendere e oltre metà dei giovani arabi interpellati dai ricercatori delle Nazioni unite dice chiaro e tondo di voler emigrare nei Paesi occidentali.
Il petrolio continuerà a garantire rendite cospicue ancora per qualche decennio: in molti Paesi occidentali il combustibile nucleare è ritenuto politicamente scorretto, mentre l’idrogeno sta muovendo adesso i primi passi. I Paesi arabi dichiarano di avere nel loro sottosuolo il 61% delle riserve accertate di greggio, che rappresentano una garanzia di ricchezza per il futuro prossimo. Ma anche il petrolio, presto o tardi, finirà o diventerà estraibile solo ad alti costi, se non sarà rimpiazzato prima da un’altra fonte di energia. Dopo che questo accadrà, difficilmente passeranno altri treni per lo sviluppo del mondo arabo.

Leggi ad personam

L'ultima uscita di Berlusconi è stata la proposta di concedere agli ultra settantenni vari privilegi come cinema, treni e stadi gratuiti, niente canone Rai ecc. Ci penso un attimo, vado su Wikipedia e cosa scopro? Che Berlusconi è nato il 29 settembre del 1936, quindi tra qualche mese compirà... 70 anni!!!
Ma allora il centro sinistra ha proprio ragione... :)

23 febbraio 2006

RaiNews24 e la sindrome "Shock the baby"

Prendo dal blog di Barbara questo interessantissimo post. Se a qualcuno dovesse venire in mente la strana idea che "non apprezzi" RaiNews24, beh...avrebbe ragione!!!

Il mitico Fulvio ci propone alcune sue riflessioni su un recente fatto di cronaca.
Ieri, mentre cucinavo, ho appreso da SkyNews24 una notizia orribile: un ragazzo ha rotto il cranio del suo figlioletto di 4 mesi perché piangeva. Forse aveva le colichette e lui lo ha ucciso a mani nude, poi ha tentato il suicidio col veleno per topi. La madre del bambino non era in casa, ma adesso è anche lei nel registro degli indagati, perché pare abbia coperto le violenze paterne già in altri casi.
Passo su RaiNews24. La stessa notizia viene data in quest'altro modo: un giovane padre è in grave stato di shock ed è ricoverato all'ospedale per aver tentato il suicidio dopo aver percosso il figlio di 4 mesi, che è morto in seguito ai traumi. I sanitari hanno detto che l'uomo è affetto dalla sindrome di "shock the baby", un male che porta il genitore a scuotere il neonato anziché a cullarlo.
A quel punto mi sono fermato e mi sono seduto con un groppo alla gola per il dolore e la rabbia.
Mi è tornato alla mente mio figlio Simone, gran mangione tutt'oggi, che ciucciava in fretta il suo latte e poi aveva le coliche. E piangeva disperato, il piccino, mi guardava con quegli occhioni azzurri cercando aiuto... e lacrimoni enormi gli scorrevano sulle gote. Io lo tenevo a pancia sotto sulla mia coscia e lo dondolavo piano facendogli dolcemente pof pof sul culetto imbottito di pannolino. E gli cantavo "ben lu haiali, yeled katan, shchor taltalim venavon..."
Mi viene da piangere: come si fa a pensare di fare del male a un bimbo che ha bisogno di te? Come si può solo concepire l'idea di spappolare il cervello a una creaturina che ti chiede coccole e aiuto!? Neanche le belve feroci...
Perché RaiNews24 ha pietà di un assassino del genere, che molto probabilmente faceva vivere nel terrore anche la mamma del piccino? Perché, di fronte all'ennesima tragedia reale che si è consumata sotto i nostri occhi, ci propina uno "shock the baby" che ricorda tanto le battute dei cartoni animati?
Poi ho trovato la spiegazione: l'assassino è egiziano.
La redazione palestinese di RaiNews24 ha superato ogni limite.

Giusto per prevenire le critiche di chi verrà a dirci che potrebbe trattarsi di chiunque e che ammazzare un figlio non è prerogativa degli arabi musulmani: qui non si sta affermando che l’uomo abbia assassinato il figlio perché arabo musulmano: si sta dicendo che RaiNews24 mostra un’infinita comprensione per l’assassino per il fatto che questi è un arabo musulmano.
Approfitto dell’occasione per un aggiornamento lampo su Alban: sabato sono stati pestati di nuovo, ed è stata pestata anche la madre. Alban le ha poi riferito di avere parlato con l’insegnante di sostegno e la madre, terrorizzata, gli ha proibito di continuare a farlo, perché se il padre venisse a sapere che qualcuno ha parlato li ammazzerebbe tutti. La collega gli ha detto di rassicurare la madre che nessuno dirà al padre che il bambino ha parlato, e lo ha incaricato di informarla che ha la possibilità, se vuole, di andare in una casa protetta dove si occuperanno di lei e dei bambini e dove al marito non verrà permesso di entrare. Ma naturalmente sappiamo che non lo farà mai. E che, se si dovesse arrivare a un processo, non testimonierà mai contro il marito, sapendo benissimo che, anche in caso di condanna, prima o poi comunque uscirebbe, e per lei non ci sarebbe scampo.
Un’ultima osservazione mia, in relazione al fatto di cronaca: chissà come mai tutti quelli – padri o madri non fa differenza – che tentano il suicidio dopo aver assassinato il figlio, non ci riescono mai. Mentre a far fuori il figlio ci riescono sempre benissimo.

Fermate i deliri di questo pazzo

Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha accusato Israele e gli Stati Uniti di essere responsabili della distruzione della moschea di Samarra.

"La distruzione della moschea sciita in Iraq sarebbe "opera dei sionisti e degli occupanti", ha dichiarato Ahmadinejad, parlando a una folla di migliaia di persone durante un viaggio nel sud-ovest del Paese. E ha aggiunto riferendosi alla forza multinazionale sotto comando americano: "Hanno invaso la moschea e l'hanno bombardata perché sono contro Dio e la giustizia".
"Queste attività passive sono atto di un gruppo di sionisti sconfitti e degli occupanti che intendono colpire la nostra fede". Il discorso del presidente è stato ritrasmesso in televisione. E riferendosi agli Usa, Ahmadinejad ha aggiunto: "Sappiate che un simile gesto non vi salverà dalla rabbia delle nazioni musulmane".

Solo RaiNews24 poteva riportare le sue dichiarazioni senza neanche un commento e come se fosse una cosa seria...

22 febbraio 2006

L'Authority su Fabio Fazio

Qualche settimana fa l'Authority aveva multato la trasmissione "Liberitutti" di Irene Pivetti per violazione delle norme sulla par condicio, come si può leggere qui. In queste ore si viene a sapere di una sanzione analoga a carico del programma di Fabio Fazio (dal sito di Repubblica):

Che tempo che fa, il programma di RaiTre condotto da Fabio Fazio, ha violato le disposizioni dell'atto di indirizzo della commissione di Vigilanza sulla Rai relative in particolare alla presenza dei politici nei programmi di intrattenimento.
Dopo aver sanzionato Rete 4, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, punta l'indice su RaiTre. E invita Viale Mazzini a "valutare l'adozione di sanzioni disciplinari" a carico dei responsabili della trasmissione.
A quanto si apprende, il presidente Corrado Calabrò ha votato a favore della delibera con i commissari di area Cdl, quelli di centrosinistra hanno votato contro.
"Nel ciclo di trasmissioni Che tempo che fa diffuse dal 4 novembre 2005 al 5 febbraio 2006, da qualificarsi come programmi di intrattenimento - sostiente l'Authority - si è registrata infatti l'abituale presenza di esponenti politici, intensificatasi nell'approssimarsi della campagna elettorale, senza che tale presenza trovasse motivazione nella particolare competenza degli invitati sui temi trattati".
Secono l'organismo di garanzia, questa situazione "ha contribuito a dare alla trasmissione una forte connotazione politica, con l'indebita introduzione, in una trasmissione non appropriata, di spazi di approfondimento politico non riconducibili a saltuarie 'finestre informative' e non rispettosi, per di più, all'interno delle singole tematiche, dei principi di parità, del più ampio pluralismo e - tranne che risulti tecnicamente impossibile - del contraddittorio".

21 febbraio 2006

Lo stupro della ragione

Ho trovato un interessante post sulla vicenda Calderoli. Premetto l'ex-ministro che non mi è per niente simpatico, e dice in continuazione ca***te ogni volta che apre bocca. Sono dell'idea che non avrebbe dovuto, visto il suo ruolo istituzionale (ma solo per quello) fare ciò che ha fatto, ma il post in questione mette in evidenza alcuni aspetti interessanti della questione.

Alla notizia dell'apertura dell'indagine a carico dell'ex Ministro Calderoli, mi sono sorte spontanee due domande, tra loro collegate. Mi sono chiesto, cioè, se per i presunti reati di opinione contestati a Calderoli si dovesse supporre una procedibilità d'ufficio e, se no, in base a quali denuncie si fosse messa in moto la Procura di Roma.
Il Corriere di oggi fornisce qualche dettaglio e qualche indizio, confermando che gli esposti (quindi, sono stati depositati) sono tre e per due reati differenti.
Letto l'articolo, e ben consapevole che stare dalla parte di chi pensa male guida lontano, mi sono fatto un'altra serie di domande per provare a capire da dove parta l'ennesima operazione giudiziario-elettorale.
Ecco la sintesi di quello che ho trovato.

continua a leggere qui

20 febbraio 2006

Modena non è la Val di Susa

Da Il Giornale del 3/2/2006:

Ennio Bonilauri, fino all'anno scorso sindaco di Prignano (Modena), ha provato sulla sua pelle la disparità di trattamento della magistratura emiliana. Alcuni anni fa si è comportato proprio come fanno oggi i suoi colleghi della Val Susa: si è schierato contro un'opera pubblica che la gente del posto non voleva. Nel suo caso non era una galleria ferroviaria ma una discarica a cielo aperto sui terreni di una coop rossa. Siccome sono di sinistra, i primi cittadini piemontesi sono degli eroi. Siccome invece Bonilauri è dell'Udc, è un delinquente. E i giudici di Bologna l'hanno condannato a dieci mesi di reclusione. La vicenda è lunga e complicata. Prignano, sull'Appennino modenese, è una mosca bianca in Emilia: non ha mai avuto giunte rosse ma democristiane e poi di centrodestra. Proprio lì la Regione decide di costruire una discarica con enormi disboscamenti, corsi d'acqua deviati, costruzione di nuove strade in una zona sottoposta (dalla stessa Regione) a tutela paesaggistica e ambientale. Il terreno era stato comprato da una società legata alla Unieco, uno dei colossi della Legacoop di Reggio Emilia. Sull'acquisto ha indagato la Guardia di finanza scoprendo irregolarità, speculazioni ed evasioni fiscali che la procura di Modena giudicò prescritte.Comitati antidiscarica, proteste pubbliche, eccetera; scene consuete. Gli abitanti di Prignano sono furibondi: loro non possono allargare le case per colpa dei vincoli, mentre la Regione può scaricare impunemente tonnellate di rifiuti. In più, nella zona della cava sono sepolti alcuni partigiani bianchi trucidati dai partigiani rossi nel 1945 dopo scontri sanguinosi.
«Se quei morti fossero comunisti qui ci farebbero un monumento, altro che un immondezzaio», protesta la gente.La situazione si fa incandescente quando l'impresa Sat incaricata dei lavori inizia le prospezioni geologiche: i sit-in fermano le ruspe e le forze dell'ordine devono intervenire per impedire scontri. Il sindaco Bonilauri, per evitare il degenerare degli incidenti e a tutela dell'ordine pubblico, vieta ai mezzi della Sat di entrare nel territorio comunale. Sembra proprio di essere a Venaus due mesi fa, con la differenza che questa volta il sindaco che blocca le opere pubbliche viene messo dalla parte dei cattivi. L'ordinanza infatti costa cara al primo cittadino dell'Udc. La Regione lo denuncia per abuso d'ufficio e falso ideologico in atto pubblico. Il sostituto procuratore di Modena Giuseppe Tibis archivia il fascicolo. Ma è la procura generale di Bologna ad avocare a sé il caso e ottiene prima il rinvio a giudizio e poi la condanna del sindaco a 10 mesi di reclusione più il versamento di una provvisionale di 15mila euro.
Il ministro Giovanardi, presente a Prignano il giorno degli incidenti, va a testimoniare in difesa del sindaco ma le sue parole vengono liquidate dai giudici come «semplice denuncia politica». Bonilauri ha presentato appello ma la corte di Bologna non l'ha ancora messo in calendario. E l'anno prossimo scatta la prescrizione.

Parlano islamici moderati

Le recenti vicende che vedono protagonista la follia dei fondamentalisti islamici avrebbero meritato ben più di un post, dunque inizio da ora a rimediare segnalando due interviste (la prima del 2001, la seconda di qualche giorno fa) di islamici moderati, almeno per dimostrare che esistono. Mi rimane il dubbio se non siano semplicemente persone ragionevoli ma "cattivi" musulmani, ovvero se i "buoni" musulmani non possano che fare ciò che fanno i fondamentalisti. Tornerò comunque sull'argomento prossimamente.

18 febbraio 2006

La guerra dei sondaggi

Capita spesso, durante la campagna elettorale, che i giornali riportino i risultati dei sondaggi sulle preferenze di voto degli elettori. Secondo l’ultimo, in contrasto con la tendenza dell’ultimo periodo che vuole l’Unione in vantaggio, il Polo avrebbe superato il centro-sinistra. Questo ha provocato molte polemiche da parte dell’opposizione, che ha accusato Berlusconi di aver fatto confezionare un sondaggio ad hoc per poter affermare di aver raggiunto gli avversari, e da parte di Prodi ho sentito solo considerazioni di tipo politico, volte a mettere in dubbio il risultato, ma senza la minima argomentazione. Insomma, i politici non si smentiscono. Non vedo la capacità di parlare di fatti. Eppure non ci sarebbe voluto molto, come farò vedere, per trarre dal sondaggio le giuste conseguenze.
Espongo prima i dati, supponendo che siano “onesti”. Il sondaggio è stato effettuato interpellando un campione di n=1920 persone, suppongo distribuite in maniera uniforme tra la popolazione. Il risultato attribuisce queste percentuali: Polo 49.4 %, Unione 49.2%.
Un profano direbbe che il Polo è in vantaggio, ma quando si calcolano delle quantità si deve sempre tenere conto del loro errore statistico, che calcolo: la distribuzione è assimilabile a una binomiale, e la possibilità p che una persona dica che voterà per il Polo è stimata dal risultato del sondaggio (quindi è 0.494). L’errore relativo su p è: (pq/n)^½ , dove q (=1-p) è la probabilità che l’intervistato dica di votare per l’Unione o di non sapere chi votare. Nel caso specifico risulta che l’errore percentuale è dell’1,14%. Ripetendo il ragionamento per il valore della percentuale attribuita all’Unione si ottiene praticamente lo stesso risultato, quindi l’errore relativo è lo stesso. Riscrivendo le percentuali con il loro errore si ha che: il Polo ha il (49.4 ± 0.6) %, mentre l’Unione ha il (49.2 ± 0.6) %. Ora, per poter dire con un buon grado di certezza che una percentuale è maggiore dell’altra, la differenza tra i due valori calcolati (0.2 %) dovrebbe essere circa tre volte più grande dell’errore sulle misure (0.6 %), in base alla teoria della statistica. Come si vede, ciò non accade, anzi, la differenza è più piccola dell’errore, e ciò significa che al più si può dire che i valori sono uguali, con un alto grado di confidenza.

13 febbraio 2006

Lettera aperta al Presidente Carlo Azeglio Ciampi

Pubblico la lettera aperta di Marco Banchelli al Presidente della Repubblica.

Le Olimpiadi e il Nepal
Caro Presidente
Perdoni se mi rivolgo a Lei con questo tono confidenziale, ma sono certo di non farle né un torto né uno sgarbo. Anzi confido proprio che lo possa gradire.
Ho sentito un irrefrenabile impulso nel doverlo fare proprio in queste ore di Olimpiadi, di grandi investimenti e grandi attese, di qualche timore e tanta sorveglianza, di festa e di contestazione, di sport e di montagna…
Ecco, la montagna. Autentico simbolo naturale universale di tutti i giochi olimpici invernali. E quando parlo di montagna a me vengono immediatamente alla mente le vette più straordinarie, imponenti e “sacre”: l’Annapurna, il Manaslù e le altre intorno, fino all’Everest. Tutta l’infinita catena dell’Himalaya, la “dimora delle nevi”.
Sicuramente saprà che delle 14 vette più alte del mondo che superano gli 8.000 metri d’altezza, ben 8 si trovano nel piccolo (e disastrato) Regno del Nepal.
Conosco bene quelle montagne e quei sentieri, teatro di grandi imprese sportive legate all’alpinismo. Negli ultimi venti anni ho avuto modo di avvicinarle in tante “tappe” con la mia bicicletta, ma devo confessarle che le mie piccole-enormi imprese avrebbero avuto ben poco valore se non fossi divenuto amico e mi sentissi di amare senza alcuna riserva il Nepal e tutte le sue genti.
Loro non hanno mai vinto una medaglia olimpica, né invernale né estiva. Tra l’altro credo proprio che non saranno neppure rappresentati a Torino. Pensi che sono talmente “sfortunati” che gli impianti sciistici, se realizzati, dovrebbero sorgere ben oltre i 4.000 metri d’altezza… Ma anche se ciò di per se non fosse un’impresa, lo sci e lo sport invernale in genere è molto, molto lontano dalla loro realtà quotidiana. Tutto pare terribilmente lontano in un paese senza libertà e democrazia.
In Nepal, giusto oggi, 13 febbraio proprio mentre le nostre olimpiadi sono in pieno svolgimento, ricorre un tragico anniversario: dieci anni di guerra civile. Una lotta tra i così detti rivoltosi “maoisti” e forze governative che ha causato oltre 12.000 vittime e 4.000 “scomparsi”, compresi ovviamente civili e bambini. Di sicuro anche in Nepal non avranno accolto il suo invito ad interrompere le ostilità per i “giochi”. In Nepal la gente neppure sa che ci sono, purtroppo…
Ma la cosa più grave per cui sono a scriverle è che neppure noi sappiamo che c’è il Nepal !
O meglio, che c’è questa situazione degenerata, un isolamento geografico e mediatico, un potenziale terreno di probabile nuova dittatura, di sicura battaglia e di continuo non-rispetto dei più fondamentali diritti dell’uomo.
In questo momento di festa e di sport per l’Italia, un’Italia che io stesso mi sento di aver rappresentato nella mia esperienza per le strade del mondo, dopo queste considerazioni, sono a rivolgerle un invito come primo cittadino del nostro paese e come garante di libertà, giustizia e democrazia. Un invito a RIVOLGERE un appello personale al Re del Nepal, Gyanendra affinché accetti il dialogo e le trattative che, sia i sette partiti d’opposizione (pare l’80% dell’elettorato) sia lo stesso leader maoista Prachanda, gli stanno chiedendo da mesi e mesi.
Il Sovrano dovrebbe arrivare a capire che oramai la sua politica ed il suo estremo tentativo di risoluzione hanno fallito. Che se ama il Nepal ed il suo popolo non può far degenerare ancora di più la situazione e scatenare un conflitto ancor più grave e definitivo. Oltre ad incalcolabili ulteriori lutti, darebbe un colpo terribile alla già non semplice situazione di paese povero del mondo.
La prego, accolga quest'invito che le rivolgo anche a nome di tutte le genti del Nepal, che mi sento di rappresentare, e sicuramente anche delle nostre genti d’Italia e di tutti coloro a cui stanno a cuore le vicende del mondo e la pace. E se un appello non basta, lo ripeta. Lo ripeta ogni giorno. Lo ripeta al Re del Nepal come a noi, ed ai nostri leader che in questo stesso periodo rischiano, come dire, di non darci il migliore degli esempi… Io sono fermamente convinto che la Pace nel mondo sarà possibile costruirla quando tutti ci sentiremo protagonisti: non tanto sui campi di battaglia ma nella vita di ogni giorno, nel dialogo e nel reciproco rispetto.La ringrazio per l’attenzione e, qualunque sia l’esito di questa mia richiesta, mi permetta di ringraziarla per questi intensi e non semplici sette anni nei quali, come nostro Presidente, ha dato sempre, e soprattutto, dimostrazione pratica e vissuta di equilibrio ed esempio.
Marco Banchelli
ciclo-nauta

Intervista a Prachanda

Wellington ci ha segnalato un'intervista della BBC al leader dei maoisti, Pushpa Kamal Dahal (detto "Prachanda").

10 febbraio 2006

Le foibe

Oggi si celebra la Giornata del Ricordo dei martiri delle foibe. Personalmente non ne so molto, è un episodio rimasto a lungo insabbiato per vari motivi, e sui libri di storia non se ne parla. Solo da qualche anno si è iniziato a squarciare il velo di omertà che ha impedito il ricordo di migliaia (in realtà non ci sono, a quanto ne so, stime precise) di vittime della pulizia etnica messa in atto da Tito nei confronti degli italiani dell'Istria. Aggiungo il link a un sito che ho trovato per chi volesse approfondire.

Post comune del network per il Nepal

Il seguente post è bubblicato su tutti i blog aderenti all'iniziativa Blogs for Nepal.
Un silenzio lungo anni

Ouverture
La realtà in cui viviamo è complessa. Capirla è un complicato esercizio, spesso senza alcun risultato. Ma non per questo un esercizio inutile. Tentare di capirla è un compito importante per molti. Un dovere, per qualcuno. Alcuni credono di averne fatto una professione, e sono i giornalisti. Noi tuttavia non chiediamo loro di capire al posto nostro. Non chiediamo tanto. Ci basterebbe che osservassero e riferissero le loro osservazioni. Non è un compito da poco. Significa dare esistenza ai fatti all'interno dei media; che è come dire farli esistere agli occhi del mondo. Perché oggi il Nepal non esiste? Il problema è che chi osserva e riporta è inserito nel contesto del mercato dell'informazione, delle notizie. In Nepal le notizie ci sono. Solo che valgono poco. Molto poco. Eppure la gente lotta ugualmente. muore lo stesso: come in Iraq, Palestina, Israele, Cecenia, e in troppi altri posti. Come sotto casa nostra. Tocca anche noi dare valore a queste notizie. A noi che vogliamo capire la complessità del mondo. È il nostro interesse, la nostra attenzione che può far trovare ai morti del Nepal la luce agli occhi del mondo.
E sotto questa luce, le cose in Nepal un giorno potrebbero cambiare.

Nepal
"Giornalisti e osservatori internazionali hanno più volte sottolineato come le notizie diffuse siano spesso frammentarie e incomplete e , da diversi mesi ormai, l'informazione relativa alla situazione nepalese sia fortemente limitata". (Paolo Tosatti, da WarNews) Il Nepal, in questo momento, è un punto interrogativo più grande e misterioso degli altri. Proviamo a fare un po' più di chiarezza, almeno..
Confinante con due giganti, India e Cina, e situato intorno ai 1400 metri d'altezza -veramente sottoterra se si pensa agli 8000 metri che si vedono in lontananza tra nuvole e neve- c'è il Nepal, stato nato politicamente nel 1768, grazie alla dinastia Shah, a cui appartiene anche l'attuale regnante, e al Re Narayan. Nel 1900 però il paese ha subito decenni di dittatura con la famiglia Rana al governo, protetta da un Re fantoccio. Nel 1947 nasce il Nepal Congress Party. Nel 1955 Mahendra indice le prime elezioni, ma abolisce il sistema partitico in favore del Panchay At , le assemblee locali. Con il referendum del 1981: il malcontento è tanto, eppure, per poco, il popolo si schiera in favore delle assemblee. Il 1990 è l'anno della svolta. In un clima di aperta rivolta il Re dichiara decaduto il vecchio sistema e si proclama sovrano costituzionale. Una serie di governi di coalizione si susseguono al governo, ma senza un preciso indirizzo politico. Si arriva al 1996, l'anno della svolta definitiva. I maoisti, organizzazione politica e militare fondata nel 1994 e condotta da Pushpa Kamal Dahal , anche noto come Prachanda, lanciano quella che viene chiamata "Guerra del Popolo nepalese". E' il 13 febbraio. In poco tempo si attivano in tutto il territorio, con il compito di rovesciare la monarchia e di "instaurare una sorta di governo alternativo locale. Fatti fuggire o eliminati i rappresentanti del governo ufficiale, dirigono le amministrazioni e gestiscono la cosa pubblica cercando di convincere la popolazione che possono fare meglio e di più" (Francesca Quaggetto, da War News). Per convincere il popolo nepalese i maoisti usano la forza, così a violenza subentra violenza, ad ingiustizia altra ingiustizia e a una dittatura una nuova dittatura. Tutto cambia perché nulla cambi, e diverso è solo il nome e il titolo onorifico ,ma nulla più: da Re a comandante, da Gyanendra a Prachanda. . Del secondo si è detto. Del primo non tutto si può dire. Nel 2001 il principe Dipendra uccide tutti, padre, madre, se stesso,in un momento di follia . Il successore di Birendra è suo cugino, Gyanendra appunto, i cui nemici sussurrano essere coinvolto nella strage, visto il caso strano che a corte gli unici a salvarsi dal principesco raptus di follia sono stati lui, sua moglie e suo figlio. Tutto precipita il 1 febbraio 2005, poco più di un anno fa. Il Re licenzia il parlamento, scioglie il governo e accentra su di sé il potere esecutivo, nominando ministri persone da lui direttamente scelte. La tregua unilaterale di tre mesi, voluta dai maoisti nel settembre dello scorso anno, è fallita senza alcun successo. C'è stato giusto il tempo di riarmare e riposare le truppe e tornare più combattivi che mai. Perché ora ci sono le elezioni amministrative. Le ha fortemente volute il Re. I maoisti, invece, non sono d'accordo e hanno minacciato di attentare alla vita di chi oserà candidarsi alle elezioni. Il risultato è che su 4146 seggi, mille risultano vacanti e seicento sono i candidati che si sono ritirati. Nel duro gioco della realtà, a volte, si sente il bisogno d'essere morbidi: i sette partiti maggiori hanno deciso di allearsi con i ribelli e di boicottare il Re. I candidati di conseguenza sono tutti monarchici e finti politici. Inoltre, vista l'assenza di avversari, basta candidarsi per vincere.
In piazza la gente si muove, le scuole e le università sono in agitazione, la polizia è costretta a lavorare sodo e le carceri si sono riempite e svuotate come un'immensa cassa toracica, fatta di vita, di protesta, e della confusione, naturale, delle nostre menti ragionevoli di pragmatici uomini occidentali senza qualcuno con cui schierarsi.
Volendo analizzare e vagamente razionalizzare la situazione partiamo da due dati di fatto: - il Re ha comportamenti dittatoriali. Nel 2004 il nepal è stato il primo paese al mondo per numero di desaparecidos (116). Nel 2003 il primo per arresti di giornalisti. La libertà è seriamente compromessa, i giornalisti costretti al silenzio, i diritti più elementari violati. I conti dello stato sono in rosso, gli aiuti umanitari dirottati alla voce "spese militari". - i maoisti si lavano la bocca con la parola democrazia ma, ahimè, non ne hanno capito bene il senso. In giro seminano terrore, uccidono, chiedono alla povera gente di contribuire economicamente alla rivoluzione. Insomma: vanno casa per casa e derubano. Con chi possono tentano di spillare 200000 rupie, consapevoli che male che vada ne portano a casa 20000 (circa 300 dollari). Alla fine lasciano una bella ricevuta, perchè in fondo sono gentili, e chi ha pagato una volta non paga più. Non fosse che la ricevuta è meglio ingoiarla o, a seconda delle preferenze alimentari, bruciarla perchè se la trova l'esercito, il corpo del malcapitato non se la passerebbe proprio benone. I nepalesi sono ormai l'incudine tra due martelli.

Epilogo
Il Nepal è una realtà complessa, ma forse meno di quanto sembri. Il Nepal è un mondo in cui gli occhi puri della gente sono ancora in grado di vedere Buddha, un bimbo che da sei mesi, in un albero, non mangia e non beve, e di vivere della magia d'uno sciamano. Lo sky-line del Nepal ha la forma irregolare e perfetta dell'Himalaya e dei templi, vicino eppure così lontano dai grattacieli cinesi e dai computer indiani. E' un luogo talmente diverso che l'occidente non vi ha trovato utilità alcuna, e l'ha lasciato intatto agli occhi. E' sul cuore però che sta lavorando, corrompendo per armi e per soldi lo spirito magico d'una nazione.
E' una realtà tanto complessa da poter essere così schematizzata così : un buono, un cattivo, una vittima: il Re e i maoisti, e viceversa. Solo la vittima è sempre la stessa: un popolo dilaniato da ideologie e mezzi che nulla hanno a che fare con la loro diversità: con elicotteri americani e comunismo di Mao. Proprio loro che, qua e là, vivono condividendo tutto, senza bisogno di Mao e dei suoi nipotini a fare da insegnanti. Ed è aberrante, tragico, vomitevole, o quanto meno buffo, che un occidente presunto paladino della democrazia, desista dal suo tentativo di democratizzazione quando non vede interessi da difendere, ma solo una realtà su cui agire delicatamente, con discrezione ed intelligenza. Con la mente volta ad un altro mondo. Un luogo per politici raffinati. E non lo dico con la spocchia di chi è sicuro. Ma col dubbio, amaro, di chi guarda la realtà e non riesce ad evitare di trarre conclusioni ovvie. Con l'ingenua speranza di essere in errore. A quanto pare tra i valori relativi abbiamo deciso di aggiungerci l'informazione ed il buon giornalismo. Il Sudan, , la Colombia, la Somalia, la costa d'Avorio, l'Uganda, il Nepal, sono realtà praticamente sconosciute. Lì la gente muore esattamente come in Iraq e in Palestina-Israele, ma con meno visibilità, colpita da bombe, proiettili e povertà. Il cuore si ferma per tutti allo stesso modo. A volte smette nell'istante preciso in cui gli occhi si spalancano stupefatti dalla sorpresa amara di un mondo assurdo. Come si sceglie su cosa informare? Perché manipolano così sciaguratamente la nostra agenda informativa? Blogs for Nepal

E così è nato il network, Blogs for Nepal, con la voglia di dare la voce a tutti, di fare informazione con pochi mezzi ma buoni: bloggers sparsi tra Parigi e Roma, Torino e Vicenza. Oggi il Nepal, domani chissà. Se sei dei nostri vai su: http://nepalnetwork.blogspot.com/ Contattaci o lascia un commento. Blogger o non blogger puoi aiutarci, aggiungerci alla lista, e continuare in questo passaparola. Un fiocco di neve può divenire valanga.

09 febbraio 2006

Il caso di Arnold Tsunga

Human Rights First segnala il caso di un avvocato, presidente di un'organizzazione che controlla e combatte i casi di violazioni di diritti umani che avvengono nello Zimbawe. Da anni è diventato bersaglio del governo autoritario che lo minaccia per le sue attività, e si teme che possa essere ucciso dai corpi di intelligence militare, che controllano i suoi movimenti. Maggiori informazioni si trovano qui, per contribuire cliccare in fondo alla pagina su "Take action".

06 febbraio 2006

La religione secondo noi italiani

Da qualche giorno stavo vedendo la pubblicità di un noto settimanale che, nelle prossime uscite, allegherà "La Bibbia e i grandi libri della religione". Immediatamente ho pensato che avrebbero allegato anche, quindi, libri tipo le Upanishad, i Veda, il Corano ecc. Mi è sembrato ovvio: i grandi libri della religione, che altro poteva significare? Ingenuo!!! Ieri, sfogliando (non a casa mia) il suddetto, anzi, suttaciuto settimanale, scopro che le quindici uscite comprendono: Bibbia (in 3+1 parti), vite dei santi, un'uscita solo su Padre Pio, i papi, la Madonna, ecc...
MA COME? Ma allora perché lo chiamano così, perché non aggiungere un semplice aggettivo al titolo delle uscite? perché non chiamarlo: "La Bibbia e i grandi libri della religione CRISTIANA"? Anzi, meglio, "La Bibbia e i grandi libri della religione CRISTIANA CATTOLICA"?
Mi rendo conto che questo è un nostro costume: se si dice religione, noi pensiamo immediatamente a quella cattolica, senza il minimo dubbio. Del resto è la religione di stato. Sono stato io ingenuo a pensare diversamente.
Faccio notare che questo nostro modo di fare si riflette anche nella scuola pubblica. Se ci pensate, a scuola gli insegnanti di religione (salvo rare eccezioni) sono di due tipi: o ci si trova il prete (vero o mancato), più o meno bravo a comunicare, ma il cui insegnamento verte solo sui principii del cattolicesimo, o l'insegnante che vuol fare Amici (quello di alcuni anni fa, non l'obbrobrio di ora). E che quindi l'argomento religioso (sempre comunque quello cattolico) lo sfiora solo, in modo da attrarre l'interesse dei ragazzi in maniera indiretta.
Personalmente mi sarebbe piaciuto molto di più se nell'ora di religione che facevo a scuola la mia professoressa mi avesse parlato di TUTTE le religioni, spiegandomene le basi come se si studiasse filosofia. Perché alla fine una religione è una filosofia, e allora perché non fare così, invece di fare sorbire anche a scuola le prediche che si evitano non andando in chiesa...

02 febbraio 2006

Il Pianista

Era da un po' di giorni (da prima di aprire il blog, in realtà) che volevo scrivere alcune cose sul film "Il pianista", che ho visto qualche giorno fa. Avevo anche già scritto un post qui su questo film, ma era più che altro volto a ironizzare su alcune dichiarazioni del presidente dell'Iran.
Ciò che invece mi spinge a scrivere un post serio è la grandissima emozione che mi ha fatto provare una scena in particolare, quella che secondo me è la più importante del film. Per capire il senso della scena è necessario conoscere la vicenda: il protagonista (il pianista Wladyslaw Szpilman, la cui storia è raccontata anche in un suo libro) vive a Varsavia ed è agli inizi della sua carriera concertistica, quando i nazisti iniziano ad applicare le leggi razziali contro gli ebrei. In una spirale di follia, è costretto come i suoi simili dapprima a portare una fascia che li distingua dalla "gente normale", e poi ad andare ad abitare nel ghetto, murato per limitare le diverse zone. Seguono episodi in cui è sempre più chiaro ai loro occhi che ciò che sta accadendo sia ben più tragico di ciò che sembrava loro all'inizio. Il regista (Roman Polanski) non lesina scene di truci uccisioni ad opera dei soldati nazisti, ma nonostante ciò il film si concentra principalmente sul dramma personale di un uomo che, come accade a tanti altri, si trova di fronte alla violenza inusitata e del tutto gratuita non solo dei tedeschi, ma anche degli ebrei che si sono prestati a fare servizio di polizia per loro. Per miracolo riesce a fuggire dal treno che portava la sua famiglia e quasi tutti gli abitanti del ghetto verso una ignota destinazione, e da allora inizia a essere sempre più solo, lavora alla costruzione di un palazzo con altri sfuggiti alla deportazione, riesce a fuggire e a nascondersi in diverse abitazioni in Varsavia, grazie a un'amica violoncellista. E per tutto il tempo si assiste al degrado dell'uomo, sempre più svilito, malato; per ironia della sorte nella sua ultima casa si trova un pianoforte che non può suonare per non essere scoperto. L'apice di questo climax è nella lunga sequenza in cui egli, dopo la cacciata dei nazisti, vaga solo per quello che rimane della sua bella città (impressiona la scena della strada con tutti i palazzi distrutti),non si sente un dialogo, il suo aspetto è stravolto, zoppica, trova una casa più integra delle altre e si nasconde in soffitta portando con sè una scatola di cetrioli che non sa come aprire. Una delle volte in cui scende per trovare degli attrezzi, lo scopre un ufficiale tedesco in perlustrazione. "Che fai?" "Cerco di aprire questa scatola" "Sei ebreo?" "Sì" "Che lavoro fai" "sono...ero un pianista" "Mi suoni qualcosa?". La richiesta sembra quasi grottesca, ma è al contempo seria e gentile, quasi che anche l'ufficiale tedesco aspiri a qualcosa di diverso della guerra nella quale si trova. Credo che l'essenzialità del dialogo sia voluta, per fare sì che il lungo silenzio sia spezzato solamente dal brano che il protagonista sceglie di suonare (la ballata n.1 di Chopin, op.23 in sol m). Come dicevo, la vicenda è un dramma personale, in cui la realtà storica fa solo da sfondo, rimane all'esterno, per riemergere prepotentemente dall'interno, si rispecchia nell'abbruttimento fisico del pianista, nel suo logorio, nel ridursi delle sue necessità all'essenziale, a ciò che serve a sopravvivere (nascondersi e mangiare). Ma, seppure spogliato esteriormente, in lui vi è ancora qualcosa di umano, che lo ha accompagnato per tutto il tempo, e che alla richiesta dell'ufficiale riaffiora in tutta la sua forza, ne riafferma l'umanità negatagli fino ad allora, al pianoforte appare trasformato, è ritto sulla sedia, sicuro nei movimenti che tante volte ha ripetuto dentro di sè. Mi piace pensare che il tedesco non abbia deciso di coprirlo (e quindi salvarlo) perché affascinato dalla musica o esclusivamente per bontà d'animo, ma perché per suo tramite abbia visto davanti a sè non un ebreo, o un polacco, ma solo un Uomo nella sua dignità riaquistata.